Santamente

IX settimana T.O.

Sembra ci siano due modi ben diversi di vivere e di relazionarsi. Il primo è quello di cui ci parla l’apostolo Pietro e che può diventare il programma di tutta una vita: <Per questo mettete ogni impegno per aggiungere alla vostra fede la virtù, alla virtù la conoscenza, alla conoscenza la temperanza, alla temperanza la pazienza, alla pazienza la pietà, alla pietà l’amore fraterno, all’amore fraterno la carità> (2Pt 1, 5-7). Il secondo è quello, ben diverso, con cui i notabili del popolo si relazionano – sarebbe meglio dire che non si relazionano – al Signore Gesù e dapprima <cercavano di catturarlo> e poi, vinti dalla <paura della folla>, <Lo lasciarono e se ne andarono> (Mc 12, 12). Ciò che rende inaccettabile e pericoloso il modo di pensare e di comportarsi da parte dei notabili del popolo è la loro fatica a comprendere di essere a servizio e non di essere padroni. Così, quasi a loro stessa insaputa, comportandosi da padroni si rivelano usurpatori che invece di aggiungere e di condividere i frutti di una vita giusta non fanno che sottrarre e impadronirsi ingiustamente della speranza che è di tutti ed è per tutti. 

Coloro che erano chiamati a riconoscere, ad accogliere e ad indicare la presenza del <figlio> (…) scelgono invece di farlo sparire dall’attenzione fino ad ordire la sua morte. Il motivo è la paura di perdere quel senso di privilegio e di immunità su cui si fonda ogni sentimento di casta che rischia di contaminare anche il nostro cuore ogni volta che non riusciamo ad amare il nostro posto e il nostro ruolo lasciandoci prendere da sentimenti e da pretese che non possono che farci dare il peggio di noi stessi. Ma Pietro ci ricorda che non siamo chiamati ad entrare in competizione bensì a vivere una relazione trasformante: <affinché per loro mezzo diventiate partecipi della natura divina> (2Pt 1, 4). Questo è un dono che comunque esige l’<impegno> (1, 5) di una vita che si orienti sempre più decisamente verso quella logica che fa del padrone un uomo di cuore: <piantò una vigna, la circondò con una siepe, scavò una buca per il torchio e costruì una torre> e come se non bastasse <La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano> (Mc 12, 1). Nell’atteggiamento di questo padrone vi è una grande fiducia che sembra quasi ingenua! Non sembra temere che i suoi servi possano ingannarlo e, al <momento opportuno, mandò un servo dai contadini a ritirare da loro la sua parte del raccolto> (12, 2). Inoltre, nonostante quello che viene fatto ai suoi servi non si capacità di tanta cattiveria tanto da pensare di rischiare di mandare <un figlio amato> (12, 6).

Attraverso il linguaggio e il ritmo proprio della parabola, il Signore Gesù aiuta i suoi uditori ad entrare nel dramma del rifiuto che segna la storia tra Dio e il suo popolo. Eppure sembra che non tutte le speranze siano perdute poiché <lo lasciarono e se ne andarono>. Ma dove mai se ne vanno i notabili del popolo? Dove mai ci nascondiamo noi stessi quando non riusciamo a sostenere in confronto esigente e spiazzante della parola? Spesso dimentichiamo che <La sua potenza divina ci ha donato tutto quello che è necessario per una vita vissuta santamente> (2Pt 1, 3).


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