Piangere
XVIII settimana T.O. –
Le lacrime sembrano caratterizzare il messaggio della Parola di Dio che riceviamo in dono quest’oggi. Prima di tutto veniamo a sapere, nella prima lettura, attraverso l’interpretazione e narrazione che il libro dei Numeri dà dell’esperienza dell’esodo che <gli Israeliti ripresero a piangere> (Nm 11, 4). Come un bambino piccolo, il popolo neonato all’esperienza della libertà la quale comporta sempre un crescente grado di responsabilità, si lamenta del fatto che la vita del deserto è più dura di quanto si potesse pensare quando la si immaginava nella fornace di schiavitù dell’Egitto. Quasi per incanto il ricordo della schiavitù diventa nostalgia: <Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto gratuitamente, dei cetrioli, dei cocomeri, dei porri, delle cipolle e dell’aglio> (Nm 11, 5). Il servo di Dio Mosè, come una madre e una nutrice, che non sa più cosa fare per calmare le grida e i capricci di un bimbo: <udì il popolo che piangeva>. Non solo il “povero” Mosè si trova pure di fronte alla terribile <ira del Signore> (11, 10) e a sua volta reagisce con una lamentela: <Perché hai fatto del male al tuo servo? Perché non ho trovato grazia ai tuoi occhi al punto di impormi il peso di tutto questo popolo. L’ho forse concepito io tutto questo popolo?> (11, 11).
Davanti alle lamentele e alle lacrime di disperazione e di recriminazione del popolo, Mosè sente il <peso> (11, 14) di un cammino di crescita da guidare e accompagnare che si fa troppo esigente. È difficile far capire al popolo che la <manna> (11, 7) è il cibo necessario alla crescita come lo è il latte materno per il neonato. È come se il neonato pretendesse di mangiare cibi solidi come gli adulti! Così la manna rappresenta quel cibo essenziale il cui sapore è ripetitivo fino a stufare, ma che pure addestra all’essenziale per imparare ad essere liberi davvero. Infatti, l’arte dei potenti che schiavizzano con la complicità dei loro sudditi è sempre quella di dare l’impressione di offrire di più e di meglio.
Ci sono altre lacrime di cui ci parla la Liturgia di oggi… sono le lacrime segrete e innominate del Signore Gesù il quale <avendo udito della morte di Giovanni Battista… si ritirò in un luogo deserto, in disparte> (Mt 14, 13). Il Signore Gesù si apparta certo per piangere Giovanni, ma anche per capire che cosa la morte violenta del Battista rappresenta come messaggio e appello per la sua vita personale. Ciò che è avvenuto nella reggia di Erode dove la testa del Profeta è stata servita su un vassoio, viene trasfigurato dal gesto del Signore Gesù che dice ai suoi discepoli: <Non occorre che vadano: voi stessi date loro da mangiare> (14, 16). Se nel deserto il popolo piange per la ripetitività della manna come cibo, il Signore Gesù imbandisce nel <deserto> (14, 15) la tavola della <compassione> (14, 14) di cui gli apostoli sono chiamati a farsi servitori. Per uscire dal capriccio e dalle lacrime, sembra dirci la Parola di Dio di quest’oggi, è necessario smettere di piangersi addosso e cominciare ad immaginare insieme la speranza in modo concreto e fattivo:<Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene> (14, 20).