Affatto

X settimana T.O.

La parola del Signore non lascia spazio ad alcuna ambiguità e sembra quasi non lasciare scampo a nessuna possibilità per rimediare una qualche consolazione che non faccia i conti con una reale capacità di coinvolgimento nelle posizioni che la vita ci impone di assumere: <Ma io vi dico: non giurate affatto> (Mt 5, 34). Punto e basta! In tal modo il Signore ci richiede una disciplina esigente riguardo all’uso della parola, soprattutto quando le condizioni ci fanno inclinare ad un uso precipitoso e inadeguato della parola quasi per trovare scampo dalla paura di non essere all’altezza delle situazioni che ci troviamo a vivere o che siamo costretti, nostro malgrado, ad attraversare. La disciplina che il Signore ci richiede deve nascere dal cuore dove siamo chiamati a coltivare sentimenti fattivi fondati sulla lealtà nelle nostre umane relazioni che non hanno bisogno di altre garanzie e tantomeno di giuramenti. Di questa lealtà nella relazione troviamo un’icona magnifica nella prima lettura nel momento in cui tra Elia ed Eliseo si crea un legame di discepolanza che non ha bisogno di nessun giuramento, ma si basa sulla stima a una lealtà affidabilissime: <Va’ e torna, perché sai che cosa ho fatto per te> (1Re 19, 20).

Non avere bisogno di fare <giuramenti> significa dare alla propria parola un peso che nasce dal cuore e dalla responsabilità nel portare le conseguenze di quanto viene proferito dalla bocca che parla – o dovrebbe parlare! – dalla pienezza del cuore. Appoggiarsi sull’autorità del <cielo> e della <terra>, di <Gerusalemme> fino a mettere a repentaglio la propria <testa>, sono formule che per il Signore Gesù, pur conservando la loro apparenza di solennità, rischiano di evidenziare un vuoto profondo di fiducia in se stessi e di fiducia negli altri. Il Signore ci invita ad usare la parola come luogo di impegno assumendo così la stessa attitudine divina che, con la sua parola franca, crea e continuamente ricrea le possibilità della vita con il suo perdono e la sua misericordia. Se entriamo in questo respiro – semplice e immediato – che anima il dinamismo di ogni creazione e di ogni vocazione, allora avremo in noi la stessa prontezza di Eliseo.

Quest’uomo, intento al suo lavoro e coinvolto nelle sue relazioni, accoglie la chiamata senza troppe parole, ma con gesti chiari e limpidi che non hanno bisogno di giuramenti: <Si alzò e seguì Elia, entrando al suo servizio> (1Re 19, 21). Al profeta Eliseo ben si addicono le parole esigenti e chiarificatrici del profeta Gesù: <Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”; “No, no”; il di più viene dal Maligno> (Mt 5, 37). Alla scuola della liturgia della Parola di quest’oggi possiamo porre un po’ più di attenzione al nostro modo di fare uso della parola e, soprattutto, siamo invitati a chiederci se è ancora aperto il canale di collegamento tra la bocca e il cuore, al fine di dare alle nostre parole una consistenza di verità che radica nella disponibilità a rispondere, con la vita, di quello che diciamo con la bocca.

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