Estasi?

Trasfigurazione del Signore –

Un testo di Raniero Cantalamessa ci fa cogliere tutta la portata del mistero della Trasfigurazione nella sua duplice dimensione di eccezionalità e di estrema quotidianità: <In quel giorno il Signore andò in estasi! Quella dell’estasi sembra essere la categoria meno adeguata per descrivere ciò che il Signore ha vissuto sul Tabor. Si tratta, infatti, di un’estasi particolare perché, di fatto, Gesù è l’unica persona che non ha bisogno di “uscire da sé” per entrare in Dio. Si potrebbe dire che si tratti di una sorta di cortocircuito interiore tra divinità e umanità. L’”isolante” che era la sua carne umana per così dire si è fuso tanto da diventare energia e luce. […] Tutto il torrente di gioia debordò allora dal vaso che è l’umanità di Cristo>1.

L’estasi di Adamo nella creazione di Eva raggiungerà il suo compimento nell’estasi del Crocifisso che ricrea la nostra umanità in un’estasi amorosa in cui piacere e dolore si mescolano senza negarsi e indicando così la strada per ciascuno di noi che siamo chiamati ad entrare nel medesimo dinamismo pasquale di trasfigurazione senza temere nessuna defigurazione necessaria. La festa della trasfigurazione è un tripudio dei sensi che ci rendono capaci attraverso il corpo di percepire la forza dell’elemento spirituale che ci abita e ci anima. Dalla vista all’udito fino al “tocco” finale di una strabiliante intimità: <E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro> (Mc 9, 8). Proprio in forza di questa esperienza di intimità siamo chiamati ad essere <testimoni oculari della sua grandezza> (1Pt 1, 16) attraverso una vita capace di farsi illuminare dalla grandezza di Dio che vuole manifestarsi attraverso la pienezza del nostro essere <a sua immagine> (Gn 1, 26).

Il Padre proclama il Figlio come <l’amato> (Mc 9, 7) e con questo incontenibile bisogno di esprimersi Dio manifesta la sua essenza che è l’amore che lo rende eternamente innamorato e per questo capace di trasfigurare in ammirazione tutto ciò che vede e tutto ciò che – col suo sguardo creatore – tocca. Avere occhi illuminati significa avere un cuore innamorato che trasfigura ogni cosa riportando ogni frammento di creazione e, soprattutto, di umanità al suo originale divino splendore. Anche noi siamo invitati come il profeta Daniele a continuare a <guardare> (Dn 7, 9) proprio perché <tenendo fisso lo sguardo su Gesù> (Eb 12, 2) il nostro modo di vedere si muti nel modo di vedere di Dio. Come scrive Lev Gillet, facendo eco a tutta la tradizione: <Se sei stato per molto tempo a fissare il sole, la tua retina si è bruciata, e ovunque guardi vedi una macchia nera. Se sul monte della trasfigurazione hai contemplato immerso nella grande Luce, quando scendi a valle sei diverso: dovunque lasci cadere i tuoi occhi, vedi lui, il Riflesso dell’uno, riverberato in ogni creatura, in ogni volto, in ogni altro uomo>. Ma questo cammino non è facile ed esige tutta una conversione del nostro essere per cui non ci resta che affinare i nostri sensi per poter aprire gli occhi del nostri cuore sul mistero di Cristo Signore per imparare a sentire – ad occhi chiusi e senza vedere – il profumo delle sue <vesti> e saper affrontare le notti della nostra vita senza sentirci mai troppo soli. 


1. R. CANTALAMESSA, Le Christ de la Transfiguration, St Augustin, Paris 2000, pp. 30-31.

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