Pietà

XXVII settimana T.O. –

Certo il cuore dell’uomo – il nostro cuore! – non finisce mai di stupire. Giona, al colmo della sua collera per dover convertire se stesso prima di pretendere di farsi predicatore di conversione, arriva a rimproverare l’Altissimo di ciò di cui dovrebbe solo benedirlo e ringraziarlo: <perché so che tu sei un Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore e che ti ravvedi riguardo al male minacciato> (Gn 4, 2). Non ci capiti di liquidare troppo in fretta la collera di Giona come se fosse qualcosa che non ci appartiene. Se, infatti, guardiamo con attenzione e onestà dentro il nostro cuore, ci rendiamo ben conto di quanto e di come non così raramente la pietà e la compassione ci turbano e, talora, persino ci indispettiscono. Al Signore non resta che mettere Giona in condizione di capire il suo cuore, facendogli provare in prima persona il dolore di una perdita. Quella della <pianta di ricino> (4, 6) ha tutta l’aria di essere una parabola nella parabola e vuole essere la sintesi di tutto il messaggio di questo libretto biblico con cui si tenta di aprire gli occhi dei figli di Israele su se stessi, liberandoli dalla tentazione di un esclusivismo saccente e spietato.

Le parole che il Signore Dio rivolge a Giona sono ancora oggi rivolte ad ogni comunità di fede che rischia di blindarsi invece di aprirsi: <Tu hai pietà per quella pianta di ricino per cui non ha fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è perita! E io non dovrei avere pietà di Ninive…?> (4, 10-11). L’interrogazione che l’Altissimo presenta a Giona quasi per giustificare la compassione e la pietà potrebbe essere posta come esergo alla preghiera del Padre Nostro con cui il Signore Gesù risponde alla domanda di uno dei suoi discepoli al cui cuore troviamo questa esigentissima invocazione: <e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore> (Lc 11, 4). L’evangelista Luca ci tiene a distinguere accuratamente quelli che sono i <nostri peccati> da ciò che abbiamo in sospeso con ogni <nostro debitore>!

La preghiera così come ci viene insegnata dal Signore Gesù e di cui Egli è modello è un lavorare su se stessi per curare una relazione con Dio che ci curi dalle nostre derive e ci liberi dalle nostre paure. Quando preghiamo dicendo <e non abbandonarci alla tentazione> (11, 4), non dobbiamo pensare a chissà cosa, ma siamo chiamati ad interrogarci rigorosamente sulla memoria di questa distinzione fondamentale tra il <peccatore> che siamo e il <debitore> che abbiamo davanti a noi. Il pane <epiousion> che chiediamo con insistenza è un pane tanto quotidiano quanto raro. Si tratta, infatti, a partire da questo termine raro su cui dibattono gli specialisti si tratta del pane necessario alla sussistenza, ma può essere inteso pure come il pane <per oggi> o ancora il pane <per domani>. In una parola potremmo dire che è il pane della pietà che riceviamo e del perdono che sappiamo donare senza il quale la vita non sarebbe possibile. Come ricorda padre Radcliff: <Noi chiediamo perdono non perché siamo radicalmente cattivi, ma perché siamo fatto per ciò che è fuori da ogni attesa. Abbiamo bisogno del perdono, ma sappiamo che il perdono è dato ed è stato dato ben prima che noi avessimo peccato: dobbiamo solo accoglierlo>1.


1. T. RADCLIFF, Faites le plongeon, Cerf, Paris 2012, pp. 198-199.

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