Quale pace?
XX Domenica T.O. –
La lettera agli Ebrei ci invita a vivere <tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede> (Eb 12, 2) che oggi ci provoca con una domanda inaspettata: <Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra?> (Lc 12, 51). In realtà ci verrebbe da dire proprio con tutto il cuore: “Sì, noi speravamo che ci portasse la pace” (cfr. Lc 24, 21), così come annunciarono gli angeli: <…pace in terra agli uomini che egli ama> (Lc 2, 14). Ma cosa è la pace? Spesso, forse troppo spesso: <Ognuno parla di pace con il prossimo mentre nell’intimo gli ordisce un tranello> (Gr 9, 7) tanto da meritare il rimprovero di Gesù che dice <Ipocriti> (Lc 12, 56) ossia: gente che recita un personaggio senza assumere fino in fondo la responsabilità della propria personalità. La pace – shalom – nella Scrittura, è un punto di arrivo e non un comodo e scontato punto di partenza. Per questo, il Signore Gesù non viene a gettare acqua sul fuoco delle nostre tensioni, delle nostre ansie e delle nostre lotte, ma le purifica dalle scorie delle nostre paure e dei nostri egoismi, perché siano luoghi di crescita nella verità su noi stessi e sugli altri: dei veri laboratori di pace a caro prezzo.
Si tratta di accogliere un Dio che, dopo aver provocato la vita, torna continuamente a provocare alla vita… la quale non comincia mai da noi stessi né finisce in noi stessi: <padre e figlio, madre e figlia, suocera e nuora> (Lc 12, 53) e così via… così avanti! Il Signore Gesù si premura di portare la <divisione> (12, 51) laddove si rischia la morte per assorbimento, tanto che <d’ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contre tre> (12, 53). Non si dice “due contro due” ma <due contro tre>! Quando noi fondiamo la pace – la nostra pace – sulla parità, sugli accordi e sui compromessi, il Signore inserisce il mistero della disparità – il mistero stesso della Trinità Santissima -. La pace a cui il Signore chiama ciascuno di noi non è frutto di ipo-crisia ma di un sovrappiù di discernimento – yper-krisis -, di attenzione e di dono di sé: <egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi si sottopose alla croce> (Eb 12, 2). Per questo una pace alla leggera non è degna di questo nome e – comunque – non ha niente a che vedere con il dono pasquale del Signore, la cui pace è frutto del coraggio attinto alla fonte che zampilla interiormente e che dà forza per resistere fino al sangue.
La croce sotto cui Gesù ha accettato di camminare non è semplicemente l’acconsentire di essere <l’uomo dei dolori che ben conosce il patire> (Is 53, 3), ma ancor più di non aver rifiutato di essere come il profeta Geremia “uomo di conflitti” perché sempre irriducibile ad ogni vuoto accomodamento superficiale: <voi avrete pace mentre una spada giunge alla gola> (Gr 4, 10). La croce, unica via per la verità che dà pace, è il coraggio di rimanere soli e nudi – come il profeta nella cisterna secca – abbracciando quel cammino di individuazione che passa per la porta stretta della differenziazione il quale, rendendoci consapevoli della nostra anima una e unica, ci apre le vie dell’un-animità che non vuol dire abdicare alla propria personalità, ma orientarsi verso la stessa meta, <fissando lo sguardo> nella stessa direzione e camminando con le gambe del proprio desiderio con l’ardore del proprio fuoco <che ardeva nel mio cuore mi sforzavo di contenerlo ma non potevo> (Gr 20, 9).
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!