Il tuo nome è Costrizione, alleluia!

VII Settimana di Pasqua –

L’apostolo Paolo non ha nessuna remora nel riconoscere la duplice causa di tutto il suo cammino di fede e di apostolato. Alla base della generosa sequela di Paolo e della sua ardente testimonianza vi è l’intuizione profonda nata da quell’incontro sulla via di Damasco che gli ha cambiato la vita. Questo non toglie che ad orientare e, per molti aspetti, a limitare il suo percorso sono tutta una serie di costrizioni che, accolte in modo maturo e lucido, sono diventate per l’apostolo delle vere occasioni di crescita senza nulla togliere alla loro dose di amarezza e di dolore. Questa coscienza completa e non parziale diventa per Paolo una vera e propria confessione: <ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e le prove che mi hanno procurato le insidie dei Giudei; non mi sono mai tirato indietro da ciò che poteva essere utile> (At 20, 19-20). Pertanto, vi è un passo in più che viene compiuto da Paolo ed è un passo che potremmo definire di alta consapevolezza: <Ed ecco, dunque, costretto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme, senza sapere ciò che là mi accadrà> (20, 22).

Nella stessa linea e in modo ancora più radicale si muove il Signore Gesù che, dopo aver parlato a lungo ai suoi discepoli, per prepararli alla Pasqua e aprirli gradualmente al dono di una presenza ancora più intima di quella che avevano sperimentato accanto al loro Maestro con la venuta dello Spirito Santo, si rivolge direttamente al Padre suo per parlare dei suoi discepoli… di noi, quasi per creare un legame così forte che la morte stessa e il terribile scandalo della croce non potranno né spezzare, né incrinare: <Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te> (Gv 17, 1). Mentre ci lasciamo conquistare da questa preghiera del Signore, che è una vera e propria elevazione della sua anima verso il Padre, non dobbiamo dimenticare tutto quello che, nel Cenacolo, è stato fatto e detto. Si tratta di mantenere viva la memoria di tutto ciò che è accaduto, dalla lavanda dei piedi, allo svelamento del tradimento di Giuda e dell’abbandono da parte di tutti, dell’inaccoglienza della sua parola e della sua persona dai notabili del popolo i quali, per difendere l’onore di Dio secondo il loro modo di sentire, lo condanneranno alla morte più dura perché la più infamante per un credente e per un uomo giusto: la croce.

Come Paolo fa memoria del suo ardente ministero: <testimoniando a Giudei e Greci la conversione a Dio e la fede nel Signore> (At 20, 21), così il Signore Gesù sembra quasi voler ricordare a se stesso: <Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo> (Gv 17, 6). Sembra che l’annuncio e la testimonianza del dono offerto di una relazione con Dio capace di metterci in una condizione di più profonda e autentica umanità, si debba scontrare necessariamente con tutta una serie di costrizioni che, in realtà, rendono ancora più chiaro l’amore di cui si vorrebbe rendere partecipe ogni creatura: <Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. Io non sono più nel mondo; essi invece sono del mondo, e io vengo a te> (17, 10). L’identità non è più il risultato di un processo di differenziazione aggressiva, ma è il frutto di una comunione attraversata fino ad essere immensamente amata. Non si tratta di una dipendenza mortificante, ma di una <umiltà> (At 20, 19) corroborante capace di una certa fierezza che nasce dalla consapevolezza profonda di come la propria consistenza radica in una relazione che pacifica e libera così da poter accogliere le costrizioni della vita come un luogo sponsale e non come un passaggio fallimentare.

Il tuo nome è Adesso, alleluia!

VII Settimana di Pasqua –

La reazione del Signore Gesù ci stupisce non poco con questa domanda che ci tocca e ci interpella: <Adesso credete?> (Gv 16, 31). Mentre il Signore continua a parlare di sé, sempre in relazione al Padre suo e cercando di preparare il cuore dei discepoli a ciò che sta per accadere nella Pasqua imminente, i discepoli sembrano accontentarsi di aver capito in senso teorico il mistero di Cristo. Per questo il Signore reagisce e lo fa in modo assai forte ed esplicito. Con tono deciso e appassionato il Maestro cerca di far comprendere che non si sta parlando di una teoria, ma il suo desiderio è di mettere le basi di un vissuto che sia veramente un’esperienza condivisa: <Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me> (16, 32). A questo punto possiamo intuire la portata della domanda che l’apostolo pone non solo ai discepoli di Efeso, ma pure a noi: <Avete ricevuto lo Spirito Santo quando siete venuti alla fede?> (At 19, 2). La risposta non deve sorprenderci più di tanto perché, in realtà, potrebbe essere la stessa risposta di tanti credenti e praticanti dei nostri giorni: <Non abbiamo nemmeno sentito dire che esista uno Spirito Santo> (19, 2).

Anche a noi può succedere di accontentarci di vivere nella logica del <battesimo di Giovanni> (19, 3) attraverso cui ci concentriamo su quella che potremmo definire un generoso impegno a diventare “più bravi” tanto da sentirci soddisfatti del nostro cammino. Lo Spirito del Risorto, invece, ci dà la possibilità e rappresenta la sfida a portarci un poco oltre: <non appena Paolo ebbe imposto loro le mani, discese su di loro lo Spirito Santo e si misero a parlare in lingue e a profetare> (19, 6). L’incontro con il Signore Risorto e l’apertura radicale a ricevere e a lasciarsi guidare e trasformare dal suo Spirito, porta la vita più lontano e fa salpare la nostra esperienza di fede verso profondità non ancora esplorate. Questo andare più lontano esige una capacità di rischiare <adesso> senza accomodarsi su ciò che ci sembra finalmente di aver capito tanto da essere, più una sfida già superata che non una sfida in atto.

Ed ecco le parole del Signore Gesù diventano una consolazione ed una spada: <Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!> (Gv 16, 33). La grande eredità che ci viene lasciata dal Signore è la sua vittoria sul quel modo di vivere, di pensare, di credere, di amare cui rischiamo di esserci così abituati da non essere più in grado di andare oltre. Prevedendo e prevenendo la nostra fragilità discepolare, il Cristo ci vaccina contro la disperazione con una rivelazione: <Il Padre è con me!>. Non abbiamo dunque più bisogno di temere di giocarci fino in fondo in quelle che sono le sfide del nostro quotidiano perché siamo certi di una compagnia che riscatta la nostra vita da ogni forma di fuga, né in avanti né all’indietro.