Grande affare

XXV Domenica T.O.

Come interpretare questa strana parabola in cui si loda un <amministratore disonesto> (Lc 16, 8) tenendo conto della raccomandazione dell’apostolo – nella seconda lettura – che chiede di pregare <alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese> (1Tm 2, 8)? Rileggendo questa parabola sembrerebbe proprio che le <mani> di questo tale siano più propense a <sperperare> (Lc 16, 1) beni che, per giunta, non sono suoi, ma gli sono stati affidati con una fiducia che sembrerebbe eccessiva e mal riposta. Eppure, alla fine <il padrone> si compiace del suo servo proprio perché <aveva agito con scaltrezza> (16, 8). Viene naturale chiedersi che cosa in verità ci sia da ammirare in questo amministratore con cui siamo inclini a paragonarci. Ma forse un simile approccio rischia di essere errato o almeno fuorviato: il vero protagonista della parabola – così come si è nuovamente sottolineato domenica scorsa rileggendo la cosiddetta parabola del “figlio prodigo” – non è l’amministratore ma il <padrone>. Tutta la nostra ammirazione deve proprio essere rivolta a questa capacità che il padrone ha di ammirare la creatività del suo servo, persino quando approfitta della sua posizione e usa a proprio vantaggio di beni non suoi. Solo un padrone tanto <ricco> (Ef 2, 4; Gc 5, 11) può permettersi di essere così prodigo, da preferire l’ammirazione per la scaltra creatività del suo amministratore, piuttosto che la sottile invidia di coloro che l’avevano <accusato dinanzi a lui> (Lc 16, 1).

Il Signore Gesù di certo non ci invita a <sperperare>, né tantomeno ad agire in modo disonesto, ma piuttosto vuole che <possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio>. Come spiega l’apostolo <Questa è una cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati> (1Tm 2, 2-4), ma tutto ciò va perseguito con tenacia, audacia e risolutezza. La domanda si fa urgente: come fare a discernere se si sta agendo come <figli di questo mondo> o come <figli della luce> (Lc 16, 8)? Una risposta e un criterio possibili ci vengono offerti dal profeta Amos nella prima lettura: a partire da quello che è il nostro atteggiamento verso <il povero> e verso <gli umili> (Am 8, 4). Se accettiamo di fare di questi ultimi i nostri <amici> (Lc 16, 9), saranno loro ad accoglierci nelle <dimore eterne> facendoci spazio, già fin d’ora, nella loro vita.  

La Parola di Dio ci invita a considerare come non ci siano circostanze che non si possano accettare e accogliere come foriere di una grazia possibile… persino quando si cade in disgrazia. Pertanto, perché ciò sia possibile, è necessario avere un cuore umile, sottomesso e – al contempo – creativo ed intrigante: anche il fallimento è una parola di Dio che ci viene rivolta e che esige da parte nostra una risposta. L’importate e ciò che piace al <padrone> è che si sia degli amministratori e non degli amministrati, dei potenziali amici e non dei tristi burocrati e patetici funzionari persino delle cose di Dio. Tutto nella vita è un’opportunità! Anche il denaro può servire e diventare persino simbolo d’amore. Lungi da un pauperismo sentimentale il Signore invita sempre nella stessa e medesima direzione: l’amore come condivisione. C’è un rapporto – che talora non osiamo tanto nominare – tra il nostro modo di usare <il poco> (16, 10) che sono le nostre possibilità in genere e non ultime quelle materiali, e il “grande affare” che è la nostra vita in Dio e con i suoi <amici>. Il Signore Gesù vuole che arrossiamo di vergogna davanti alla nostra indolenza e pusillanimità confrontate con la passione e alla scaltrezza dei <figli di questo mondo> (16, 8) che – troppo spesso – ci superano in generosità e professionalità!

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