Il tuo nome è Meglio, alleluia!
VI Settimana di Pasqua –
Mentre si presentano le offerte per l’Eucaristia, la Chiesa, attraverso le parole di chi presiede la divina liturgia, esprime il suo desiderio più profondo e prega così: <perché rinnovati nello spirito, possiamo rispondere sempre meglio all’opera della tua redenzione>. Il cammino della vita fa tutt’uno con quello della vita ed è un processo di continua crescita e trasformazione. Il Signore Gesù ce lo ricorda con parole tenere e forti al contempo: <Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia> (Gv 16, 20). In realtà noi facciamo esperienza non solo di una tristezza che può cambiarsi in gioia, ma pure di alcune gioie che si possono tingersi dei colori della tristezza… e questo fa parte del mistero e della sfida della vita. In ogni modo la cosa più importante, e che fa da fondamento al combattimento della speranza, è che possiamo coltivare la certezza di un sempre possibile cammino. Quest’apertura da rinnovare ogni mattina ci permette di non diventare prigionieri né della tristezza né della gioia, ma di essere continuamente protagonista attivi e appassionati della nostra vita a servizio del <meglio> della vita anche degli altri.
Il mistero della risurrezione, che in questi giorni pasquali celebriamo con rinnovata gioia, non è altro che un fare memoria di come, persino nella morte, si è nascosto – fino a trionfare – un principio attivo di vita. Il mistero pasquale, che ci mette di fronte al peggio in termini di rifiuto e di disumanità, ci rassicura del fatto che se il peggio non è mai morto, il meglio è sempre possibile. Questo dinamismo è nascosto come un pugno di lievito nella pasta della vita consueta e ordinaria e viene evocato dal Signore Gesù con quel misterioso rimando che mette in agitazione il cuore dei discepoli: <Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete> (16, 16). I discepoli sono destabilizzati da questo rimando ad un processo che ingloba una buona dose di incertezza: <Non comprendiamo quello che vuol dire> (16, 18). Il Maestro invece spiega, prima di tutto con la sua disponibilità alla Pasqua, quello che vuol dire con ciò che accetta di vivere, fino ad essere disponibile a morire.
Come Paolo anche noi siamo chiamati ad essere <fabbricanti di tende> (At 18, 3) senza presumere troppo di noi stessi e accogliendo di doverci interiormente spostare non solo da un posto all’altro, ma anche da una situazione all’altra. Persino il fatto di <dedicarsi tutto alla Parola> (At 18, 5) non ci garantisce di essere accolti da tutti, ma esige la disponibilità a rischiare sulla Parola, aprendoci a nuove strade e a soluzioni finora impensate con docilità e amore. Agostino lo ricorda a se stesso e ai discepoli di tutti i tempi: <Questo che è il frutto del suo travaglio, la Chiesa lo partorisce al presente nel desiderio, allora lo partorirà nella visione; ora gemendo, allora esultando; ora pregando, allora lodando Dio. Sarà perciò un fine eterno, perché non ci potrà bastare che un fine senza fine>1.
1. AGOSTINO, Commento al vangelo di Giovanni, n° 101.