Notte

Santi Simone e Giuda –

L’evangelista Luca pone – come spesso accade per gli avvenimenti e i momenti più significativi della vita del Signore – la scelta degli apostoli e la loro nominazione solenne nel contesto della luce del mattino come frutto di un lungo lavoro interiore vissuto al cospetto del Padre suo: <se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio> (Lc 6, 12). Inoltre, nella redazione lucana, l’elenco del nome degli apostoli è personale e non a due a due. Verso la fine dell’elenco troviamo: <Simone, detto Zelota; Giuda, figlio di Giacomo>. Alla congiunzione <e> cui siamo abituati negli altri sinottici, Luca sostituisce una sorta di presentazione più solitaria dei singoli apostoli. 

Nella notte della sua preghiera il Signore sembra aver incontrato il mistero personale di ciascuno di coloro che al mattino ri-chiamerà e costituirà come suoi apostoli. Ed è proprio con loro che Gesù discenderà dal monte per fermarsi <in un luogo pianeggiante> (6, 17), lo stesso ambiente in cui il Signore pronuncia le sue beatitudini cui fa seguire dei sonori <guai>. Con queste note di geografia spirituale veniamo introdotti nella celebrazione della festa odierna di due apostoli che sono l’occasione per meditare ulteriormente sul mistero della Chiesa e sul nostro essere Chiesa per il mondo. Gli apostoli vengono scelti da Gesù sul monte, ma dopo averli costituiti sono subito – si potrebbe dire immediatamente – chiamati a discendere con Gesù per mescolarsi ai bisogni della <gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente> (6, 17). Luca non si accontenta di attirare la nostra attenzione sulla quantità di persone che attendono Gesù e lo accolgono in compagnia di quanti ha appena eletti come suoi apostoli, ma ci chiarisce le motivazioni di tanta a tale attesa: <erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie> (Lc 6, 18). 

In tal modo il Vangelo ci ricorda che l’elemento apostolico per eccellenza è la sensibilità alla fame di ascolto e al bisogno di compassione dell’umanità. Nella sua preghiera notturna, prolungata e profonda, sembra che il Signore abbia posto – scavando profondissimamente – le fondamenta della sua Chiesa come mistero e ministero di salvezza. Tutti quegli elementi notturni che attraversano e caratterizzano le vita di tutte le creature sono state assunte, pregate e illuminate dal Signore stesso, e la Chiesa ha il sublime compito di continuare la sua presenza sanificate e santificante. L’elemento notturno di ciascuno di noi è parte integrante della nostra relazione con Dio e la nostra stessa testimonianza è tanto più efficace nel senso evangelico del termine nella misura in cui è capace di integrare e di far integrare il lato oscuro e più fragile della nostra esistenza. Ben lo dice il salmo: <Il giorno al giorno ne affida il racconto, e la notte alla notte ne trasmette notizia> (Sal 18, 3). Per questo le parole dell’apostolo Paolo sono una realtà e riguardano ogni uomo e donna che nella Chiesa si sente a casa: <voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio> (Ef 2, 19).

Liberati

XXX settimana T.O. –

Nel vangelo di quest’oggi la simbologia numerica assume un significato particolarmente importante con una rilevanza speciale. Subito l’evangelista Luca attira la nostra attenzione su <una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni> e aggiunge alcuni particolari per darci un quadro il più possibile completo ed esaustivo della situazione: <era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta> (Lc 13, 11). Il numero <diciotto> non è altro che “tre volte sei” e nell’Apocalisse questa cifra sarà quella che indica il Satana (Ap 13, 18) che si mostra sempre più, acerrimo nemico dell’umanità chiamata a sperimentare in Cristo Gesù la pienezza della salvezza, che è sempre pienezza di vita. Davanti a questa donna che non riesce a passare dal sei al sette, ossia dalla quasi pienezza alla pura pienezza della relazione con Dio, che le permetterebbe di essere interamente e integralmente una creatura, il Signore Gesù sente la necessità di farsi carico del suo cammino e per questo la chiama a sé senza che ella gli chieda nulla: <Donna, sei liberata dalla tua malattia> (Lc 13, 12). Il modo con cui Gesù la chiama – <donna> – è rimando al mistero di tutta l’umanità (cfr. Gv 19, 26) – chiamata a ritrovare la pienezza della propria identità di relazione a Dio secondo quanto l’apostolo Paolo esprime con l’immagine dell’essere <figli di Dio> (Rm 8, 14).

Ben diversa è la reazione del capo della sinagoga che si lamenta con la folla e disapprova così indirettamente il modo di agire del Signore Gesù: <Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato> (Lc 13, 14). Per il capo della sinagoga la guarigione è una sorta di opera che non è degna di essere compiuta nel giorno di sabato, mentre sembra che per il Signore Gesù proprio il giorno di sabato rende più urgente di dare a questa donna la possibilità di guardare finalmente verso il cielo potendo finalmente <stare diritta> (13, 11). Il settimo giorno è quello in cui il riposo di Dio diventa un dono di gioia per ogni uomo e donna chiamati a partecipare alla soddisfazione del Creatore. È come se questa donna fosse stata legata per sei volte sei anni a uno stadio della propria vita di incompletezza senza mai poter raggiungere la pienezza del settimo giorno. È come se il senso dell’esistenza non potesse mai giungere a maturità, ma ricominciasse continuamente il proprio cammino senza giungere al fine della pace e del riposo.

Spesso la nostra umanità si trova nella condizione di questa donna in cui si rispecchia lo stato che Paolo definisce come quello di <debitori> (Rm 8, 12) mentre siamo realmente <figli adottivi> poiché non abbiamo <ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura> (8, 15). Davanti alla reazione di questo capo della sinagoga che sembra voler far ricadere nella paura la gente quasi per timore che si illuda di poter essere guarita, il Signore dice parole molto forti: <E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame in giorno di sabato?> (Lc 13, 16). La risposta a questa domanda non si fa attendere: <se siamo figli> perché dovremmo essere curvi e rimandare la gioia della pienezza della vita, perché non dovremmo passare dal sei dell’incompletezza al sette della pienezza? Questo vale per noi stessi, ma vale altresì per tutti!

Non desiste

XXX Domenica T.O.

Continua la catechesi del Signore Gesù sulla preghiera e, all’immagine della vedova che si contrappone al giudice iniquo, oggi si affianca un altro contrasto: quello del fariseo e del pubblicano. La liturgia bizantina dedica la prima domenica del Tridion – domenica che prepara alla Grande Quaresima – proprio alla contemplazione di queste due figure nelle quali, ogni fedele, è chiamato a specchiarsi per fare il punto sulla propria disponibilità alla conversione. Il primo passo di ogni serio cammino di conversione non può che essere la coscienza di averne realmente bisogno: <Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”> (Lc 18, 13). Così fa pregare la liturgia bizantina cercando di preparare il cuore dei fedeli al combattimento spirituale della Quaresima: <Con un animo umile, il pubblicano, gemendo, trovò propizio il Signore e fu salvato, ma decadde paurosamente dalla giustizia il fariseo dalla lingua magniloquente. Fuggiamo o fedeli, la boria dei propositi del fariseo e i suoi titoli di purezza, emulando rettamente l’umiltà e i sentimenti del pubblicano che hanno ottenuto misericordia>1.

Nella seconda lettura di questa domenica è l’apostolo Paolo che si fa esempio per ciascuno di noi e, in un certo senso, ci conferma nella speranza che anche il nostro piccolo o grande fariseo interiore possa realmente non solo convertirsi, ma trasformare lo zelo dell’auto-esaltazione in zelo di servizio e di amore fino a poter dire: <Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede> (2Tm 4, 7). Ciò che rende possibile per ciascuno di vivere fino in fondo – e pienamente – il proprio cammino fino a giungere a meritare la <corona> (4, 8), è ciò che il Siracide ci rammenta come principio ordinatore della relazione tra la nostra umanità e il nostro Creatore: <Il Signore è giudice e per lui non c’è preferenza di persone> (Sir 35, 15). Questa parola del Siracide ci aiuta a comprendere in cosa consista il vero dramma del fariseo. A furia di autocertificarsi ci si mette al posto di Dio fino a guardare gli altri come se si fosse al posto che compete solo all’Altissimo: <… e neppure come questo pubblicano> (Lc 18, 11).

Paolo ci ricorda, non solo con la parola, ma prima di tutto con la testimonianza della sua vita, che è possibile lasciare emergere in noi la figura del pubblicano che siamo a dispetto del fariseo che cerca di prendere sempre tutta la scena. La preghiera umile <non si quieta> e <non desiste – finché l’Altissimo non sia intervenuto> (Sir 35, 21) – dal ricomporre le giuste proporzioni del nostro modo di considerare noi stessi imparando che non possiamo in nessuno modo farci giudici degli altri. Come ci ricorda il Signore Gesù: ciascuno può fare l’esperienza di essere <giustificato> (Lc 18, 14) solo nella misura in cui riconosce di non essere giusto, ma di essere amato e perdonato. Per questo la preghiera del povero <attraversa le nubi> e rende capaci di guardare e di lasciarsi guardare nella limpida luce divina.


1. Anthologhion, II, p. 397.

N’abandonne pas

XXX Dimanche T.O. –

La catéchèse du Seigneur Jésus sur la prière continue et, à l’image de la veuve qui s’oppose au juge inéquitable, s’ajoute aujourd’hui un autre contraste : celui du pharisien et du publicain. La liturgie byzantine dédie le premier dimanche du Triduum – dimanche qui prépare au Grand Carême –  justement à la contemplation de ces deux figures dans lesquelles, chaque fidèle, est appelé à se mirer pour faire le point sur sa propre disponibilité à la conversion. Le premier pas de tout chemin sérieux de conversion ne peut qu’être la conscience d’en avoir réellement besoin : «  Le publicain, au contraire, en se tenant à distance n’osa même pas lever les yeux vers le ciel, mais se battait la coulpe en disant : «  O Dieu, aie pitié de moi pécheur » ( Lc 18, 13 ). La liturgie byzantine prie de même en essayant de prépare le coeur des fidèles au combat spirituel du Carême : «  Avec une âme humble, le publicain, en gémissant, trouva le Seigneur favorable, et fut sauvé, mais le pharisien transforme de façon inquiétante la justice par ses paroles grandiloquentes. Fuyons ô fidèles, les propos arrogants du pharisien et ses titres de pureté  qui imitent à juste titre l’unité et les sentiments du publicain qui  ont obtenu miséricorde »1

Dans la seconde lecture de ce dimanche, c’est l’apôtre Paul qui devient un exemple pour chacun de nous, et, dans un certain sens, nous redonne confiance afin que notre petit ou grand pharisien intérieur puisse non seulement se convertir réellement, mais transformer le zèle de l’auto- exaltation en zèle de service et d’amour jusqu’à pouvoir dire : «  j’ai mené le bon combat, j’ai terminé la course, j’ai conservé la foi » ( 2 Th 4, 7). Ce qui rend chacun de nous capables de vivre de fond en comble – et pleinement – son propre chemin jusqu’à  rejoindre et mériter la «  couronne »  ( 4, 8 )   c’est ce que le Siracide nous rappelle comme principe premier  de la relation avec notre humanité et notre Créateur : «  Le Seigneur est juge et il n’ a aucun égard au rang des personnes » ( Sir  35, 15 ). Cette parole du Siracide nous aide à comprendre en quoi consiste le vrai drame du pharisien. A  force d’auto-certification, il se met à la place de Dieu jusqu’à regarder les autres comme s’il était à la place que seul le Très-Haut détient : «  …ni comme ce publicain » ( Lc 18, 11 ).

Paul nous rappelle, non seulement par la parole, mais avant tout par le témoignage de sa vie, qu’il est possible de laisser émerger en nous la figure du publicain que nous sommes au contraire du pharisien qui cherche toujours à occuper toute la scène. La prière humble « ne sera pas consolée » et « n’abandonnera pas » – tant que le Très-Haut n’est pas intervenu » ( Sir 35, 21 ) – pour recomposer les bonnes proportions de notre façon de nous considérer en apprenant que nous ne pouvons en aucune façon nous faire les juges des autres. Comme nous le rappelle le Seigneur Jésus : chacun peut faire l’expérience d’être «  justifié » ( Lc 18, 14 )  seulement dans la mesure où il reconnaît de ne pas être juste, mais d’être aimé et pardonné. Voici pourquoi la prière du pauvre «  pénétrera les nues » et rend capables de regarder et de se laisser regarder dans la limpide lumière divine.


1. Anthologhion , II, p.397 .

Carne

XXIX settimana T.O. –

Per ben otto volte compare nella prima lettura di quest’oggi il termine <carne> che <tende alla morte> (Rm 8, 6). L’apostolo mette in chiara evidenza un conflitto tra carne e Spirito <dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi> (8, 9). In questo dinamismo di comunicazione di grazia tra l’energia divina e la nostra carne siamo chiamati a diventare sempre di più un <corpo> (8, 10) in cui si manifesti il più pienamente possibile il dono di partecipazione alla stessa vita di Dio. Come spiega un filosofo contemporaneo: <La carne la cui realtà è finita presenta due caratteri correlativi. Da una parte, le impressioni di cui è costituita sono tonalità affettive di ordine negativo, quale il malessere legato al bisogno, l’insoddisfazione, il desiderio e le molteplici forme e sfumature del dolore e della sofferenza di cui la carne è il luogo principale di esperienza. In tutte queste tonalità, il loro tenore sofferente e spiacevole esprime il senso di mancanza fondamentale che riguarda la carne in quanto essa è incapace di essere sufficiente a se stessa. Ma vi è pure un secondo tratto proprio ad ogni carne, il suo dinamismo attraverso cui si sforza di trasformare il malessere nel benessere di un desiderio provvisoriamente colmato>1.

Di questo dinamismo è garante il nostro rapporto con il mistero di Cristo Signore: <E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi> (Rm 8, 11). Nel Vangelo il Signore Gesù ci ricorda che questo processo interiore di crescita e di conformazione esige profonda e radicale attenzione e non può essere mai per così dire “liquidato” con un giudizio che si lasci completamente conquistare dalle apparenze e dalle esteriorità. Per ben due volte, il Signore Gesù dice energicamente “no” alla logica “carnale” dei suoi interlocutori, i quali non riescono a vedere le persone che sono coinvolte e segnate dagli avvenimenti di cui parlano: <No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo> (Lc 13, 5). La parabola apre il cuore e lo sguardo su un modo diverso di considerare e di giudicare che implica sempre la disponibilità a coinvolgersi in prima persona come l’anonimo contadino in cui si nasconde il volto e l’attitudine di Cristo stesso: <Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e vi avrò messo il concime> (13, 8). Potremmo dire che la carne si fa corpo in cui si manifesta l’opera dello Spirito di Dio che anima e divinizza la nostra vita, proprio nella misura in cui invece di accontentarsi di guardare e di giudicare, accetta di coinvolgersi e di rischiare in prima persona. Come discepoli siamo così chiamati, ogni giorno, a prendere sempre più coscienza di questa presenza dello Spirito che è come la terra per un albero: non è un’eccezione o una realtà passeggera, bensì è l’humus di cui viviamo tanto che la sua azione va continuamente ravvivata e sempre meglio accolta e custodita.


1. M. HENRY, Paroles du Christ, Seuil, Paris 2002, pp. 8-9.

Intimo

XXIX settimana T.O. –

Le parole dell’apostolo Paolo ci portano lontano, anzi, ci riconducono molto vicino dando contorni precisi a quel combattimento interiore che così tanto ci affatica fino a stremare la speranza: <io so che in me, cioè nella mi carne, non abita il bene: in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo…> (Rm 7, 18). Sono parole che ci toccano e se, per molti aspetti, ci consolano perché ci fanno sentire meno soli e meno “difettosi”, al contempo radicalizzano ulteriormente la ricerca delle vie per poter vivere in pienezza la nostra vocazione alla pace e alla felicità. Continuando nella sua “confessione”, Paolo arriva infine ad evocare un luogo interiore da cui si può sempre ricominciare a sperare: <Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra> (7, 21-23). Per quanto il combattimento possa essere duro ed esigente e i momenti di caduta possano reiterarsi, siamo chiamati ad aggrapparci come fosse il timone della nave della nostra esistenza alla consapevolezza di essere abitati nel profondo del nostro cuore – nell’<intimo> – da una presenza che ci libera dalla paura di essere limitati e ci apre gli orizzonti di una grazia capace di ricreare, ogni giorno, la decisione a non soccombere a noi stessi e ad andare oltre noi stessi: <Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!> (7, 25). 

Come ricorda un predicatore dei nostri giorni: <Animati dallo Spirito di Cristo, siamo chiamati ad essere “guetteurs” di aurore, sentinelle dell’amore, segni del regno e dell’amore di Dio che feconda lentamente la nostra terra. Per vocazione i discepoli di Cristo, uomini e donne, siamo dei vigilanti che discernono in modo acuto tutto ciò che ferisce e paralizza la nostra umanità tanto da vedere ciò che gli altri non colgono, soprattutto quanti si sentono esclusi dall’amore e dalla vita>1. In questa direzione possiamo accogliere in modo liberante la parola del Signore Gesù: <E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?> (Lc 12, 57). Se la parola del Signore può sembrare dura è al contempo una parola che ci restituisce tutta la nostra libertà di intelligenza, di valutazione, di scelte per non essere né vittime né spettatori della nostra stessa vita. Da questo punto di vista possiamo dire che il primo passo dell’intelligenza e del coraggio è la lucidità e la capacità di scegliere in modo adeguato al reale. Tra tutti gli esempi possibili inerenti alla complessità della vita viene ricordato quello più consueto e doloroso che è il conflitto con i fratelli: <lungo la strada cerca di trovare un accordo con lui, per evitare che ti trascini davanti al giudice> (Lc 12, 58). 

Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura. Bisogna, infatti, conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico. Immersi in così contrastanti condizioni, moltissimi nostri contemporanei non sono in grado di identificare realmente i valori perenni e di armonizzarli dovutamente con le scoperte recenti. Per questo sentono il peso dell’inquietudine, tormentati tra la speranza e l’angoscia, mentre si interrogano sull’attuale andamento del mondo. Questo sfida l’uomo, anzi lo costringe a darsi una risposta (Gaudium et Spes 4).


1. M. HUBAUT, Un monde en quete de sens, Cerf, Paris 2013, p. 203. 

XIII CENTENARIO DELL’ABBAZIA DI NOVALESA

Giubileo di fondazione del monastero Novalesa
Il 30 gennaio 2026 si celebrerà il 1300° anniversario di fondazione dell’abbazia di Novalesa
la cui origine risale al 726.
Dal 23 gennaio al 15 ottobre 2026 una serie di eventi e di appuntamenti segneranno la
celebrazione di questo anniversario che saranno notificati sul sito.


1. J.-L. CHRETIEN, L’intelligence du feu, Bayard, Paris 2003, p. 135. 

Traguardo

XXIX settimana T.O. –

Le parole dell’apostolo suonano dure: <Ma quale frutto raccoglievate allora da cose di cui ora vi vergognate? Il loro traguardo infatti è la morte> (Rm 6, 21). Continuando la sua catechesi sul mistero della grazia che opera nel cuore dei credenti, Paolo si avvicina sempre di più a scandagliare, per così dire, ciò che avviene nel cuore di ogni discepolo in cui il seme della grazia operante attraverso la fede non solo cresce, ma trasforma profondamente il cuore, formando l’uomo nuovo che si esprime attraverso i frutti di una giustizia non semplicemente come obbedienza alle prescrizioni della Legge, ma come trasformazione interiore attraverso la Legge: <Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, raccogliete il frutto della vostra santificazione e come traguardo avete la vita eterna> (6, 22). Ogni traguardo si staglia davanti a coloro che camminano e talora corrono per raggiungerlo e, perciò stesso, esso non si identifica mai con ciò che possediamo, ma sempre con ciò che speriamo e desideriamo. L’anelare a raggiungere un traguardo dà alla vita dinamismo e finalità.

Perché questa corsa nel desiderio possa continuare a raggiungere la sua meta, il Signore Gesù si fa complice del meglio di noi stessi tanto da esclamare: <Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!> (Lc 12, 49). Il fuoco non solo illumina e scalda, ma soprattutto il fuoco è capace di trasformare. Il seguito delle parole del Signore Gesù può anche inquietare: <Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione> (12, 51). La <divisione> che sembra essere conseguenza naturale della scelta per Cristo è simile al <fuoco> e rimanda al necessario e desiderabile <battesimo> (12, 50) senza il quale sarebbe impossibile essere veramente <liberati dal peccato e fatti servi di Dio> (Rm 6, 22). Il fuoco che il Signore accende nei nostri cuori è il dono del suo Spirito Santo che, pienamente donato nel suo mistero pasquale, immette la nostra vita nello stesso dinamismo che permette l’esodo quotidiano da noi stessi per aprirci all’opera di Dio in noi e attraverso di noi. Il fuoco è <l’amore, il desiderio, il fervore e il conflitto che lacera il cuore davanti alle esigenze della Parola>1.

Camminare verso il <traguardo> di un’autentica discepolanza esige il passaggio attraverso il conflitto con tutto ciò che abitualmente fa parte della nostra vita per riposizionare e ricomprenderne ogni aspetto e ogni dettaglio alla luce del Vangelo. La <divisione> (Lc 12, 51) di cui ci parla il Signore Gesù è il segno di un cammino di discernimento e di scelta che non sono mai indolore e non lasciano il mondo cui siamo abituati uguale a se stesso. Non si può scegliere senza rinunciare, non si può pensare di seguire senza lasciare! Quando il Signore Gesù riconosce di essere <angosciato>, assume su di sé tutta la nostra fatica ad essere fedeli al nostro desiderio e ci accompagna, amabilmente, nel lungo e non facile cammino di discernimento e di coronamento non solo di ciò che ci sta a cuore, ma di ciò che fa veramente bene al cuore.


1. J.-L. CHRETIEN, L’intelligence du feu, Bayard, Paris 2003, p. 135. 

Di cuore

XXIX settimana T.O. –

L’apostolo Paolo continua la sua catechesi sulla grazia della libertà che esige di vivere nella libertà della grazia. Siamo di fronte ad un necessario e quotidiano discernimento che pure, bisogna riconoscerlo, non è così semplice ed esige una capacità di attenzione e di intelligenza. La domanda si fa urgente: <Come fare ad essere autenticamente liberi senza cedere a forme di libertinaggio assecondando il comodo e la superficialità?>. Nelle parole dell’apostolo possiamo trovare una guida per orientarci e districarsi nei meandri talora così complicati del nostro stesso cuore: <Rendiamo grazie a Dio, perché eravate schiavi del peccato, ma avete obbedito di cuore a quella forma di insegnamento alla quale siete stati affidati> (Rm 6, 17). Come spiega Romano Penna: <Paolo vorrebbe alludere al dato fondamentale di un’avvenuta trasformazione interiore compiuta nel credente dalla fede e dallo Spirito Santo, a cui segue poi anche una obbedienza etica>1.

Il Signore Gesù conferma questo principio ermeneutico con una frase che può anche destare un po’ di turbamento: <A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più> (Lc 12, 48). Questa frase sibillina, che mette in crisi tutti i nostri parametri di giustizia, è la conclusione della risposta che il Signore Gesù cerca di dare al turbamento di Simon Pietro davanti all’invito ad essere oltremodo vigilanti: <se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa> (12, 39). Con questa <parabola> (12, 41) che sembra mettere in subbuglio il cuore di Pietro, siamo raggiunti personalmente al cuore della nostra ricerca e del nostro desiderio di essere discepoli il cui primo passo è una capacità di abitare il nostro cuore per coltivare un cammino di autentica libertà. La differenza tra la libertà discepolare e l’essere <schiavi> (Rm 6, 16) sta proprio in questa disponibilità e scelta di <dare la razione di cibo a tempo debito> (Lc 12, 42). Al contrario chi <cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare e a ubriacarsi> (12, 45) non potrà che essere escluso dal flusso della grazia che è sempre legata alla capacità di servire e di prendersi cura <di cuore>. 

Vi è una sottigliezza nelle parole del Signore Gesù che non bisogna lasciar cadere. Sembra che la cura verso gli altri cominci e si radichi in una cura verso il Signore stesso: <Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo> (12, 40). Ciò che libera il nostro cuore e lo rende capace di fedeltà è il fatto di attendere veramente qualcuno senza essere prigionieri di se stessi ma come <viventi ritornati dai morti> (Rm 6, 13). Con questa parola un po’ misteriosa l’apostolo Paolo ci apre sulla realtà di una vita che sa decidere fino a saper attraverso la morte ai desideri disorientati per far sì che si faccia sempre più spazio al Desiderio che fa di noi dei discepoli liberi e fedeli.


1. R. PENNA, Lettera ai Romani, EDB 2010, pp. 458.459

La natura e il pensiero: a 10 anni dalla Laudato Si’

una riflessione tra filosofia, teologia, scienza ed educazione alla sostenibilità

Sabato 8 novembre 2025, ore 9.00
Abbazia della Novalesa (TO)

La suggestiva cornice dell’Abbazia della Novalesa ospita il convegno “La Natura e il Pensiero”, promosso dalla Città Metropolitana di Torino e dalla comunità monastica, in collaborazione con istituzioni, enti locali, realtà educative e culturali del territorio. Un’anticipazione degli eventi che, nel 2026, celebreranno i milletrecento anni dalla fondazione dell’abbazia. L’evento si concentrerà sul dialogo tra filosofia, teologia, scienza ed educazione: quattro prospettive complementari per comprendere a fondo la complessità del rapporto tra Uomo e Natura. Non a caso, l’iniziativa è stata organizzata proprio nel 2025, a dieci anni dalla pubblicazione dell’Enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco.

Il convegno offrirà spunti e riflessioni sull’eredità del documento che ha segnato una svolta nella coscienza ecologica globale, avvicinando sguardi diversi attorno a un tema che, analizzando il presente, interroga il futuro.

Il convegno vuole essere un dialogo fra saperi, un’occasione per superare le barriere ideologiche e indagare la natura non soltanto con la lente della Scienza, ma anche come questione culturale, filosofica e antropologica.

A partire dai dati scientifici, l’incontro esplorerà le radici della distanza tra uomo e ambiente, riflettendo sulle visioni del mondo che hanno alimentato questa frattura, che il pensiero ecologico e spirituale vorrebbe sanare.

Programma dettagliato

Mattina (dalle ore 9 alle 13) – relazioni in aula

Moderatori: Gianni Boschis (docente di Geografia, geologo, divulgatore scientifico) ed Eloisa Giannese (giornalista)

9.30-10.00
Saluti istituzionali:
Introduzione del vicesindaco della Città Metropolitana Jacopo Suppo
Intervento del sindaco di Torino Stefano Lo Russo

10.00–10.40
Michael Davide Semeraro (priore dell’Abbazia, monaco, teologo, scrittore)
Ascoltare il grido… della Terra e dei poveri

10.40–11.20
Daniele Cat Berro (Climatologo, SMI)
Scienza ed evidenze della crisi climatica: da Papa Francesco alla situazione attuale

11.20-12.00
Eloisa Giannese (giornalista)
Il compito della filosofia oggi: tornare alla natura, riscoprire l’anima del mondo

12.00–12.40
Armando Minutola (docente di Filosofia)
Io e il mondo: dal Romanticismo alla cittadinanza consapevole

12.40–13.00
interventi dal pubblico e conclusioni della mattinata ad opera di Jacopo Suppo (vicesindaco Città Metropolitana)

Pausa pranzo (dalle 13.00 alle 14.30)

_____
Pomeriggio (dalle 14.30 alle 17.00)

14.30–15.30
Escursione guidata: Uno sguardo sulla Natura in rapporto all’uomo.
Lezione “en plein air” e Cappella di Sant’Eldrado.
A cura di Cristina Converso (dottore forestale e scrittrice), Luca Cavallo (agronomo) e Gianni Boschis

15.30–17.00
Voci dal mondo della Scuola. Gli aspetti educativi dell’Enciclica visti da docenti e studenti
a cura di Daniele Cane (docente di Fisica);
l’esempio del progetto “Ghiaccio fragile”.
Moderano: Gianni Boschis ed Eloisa Giannese

Conclusioni, consegna attestati e commiato

Partecipazione gratuita, iscrizione obbligatoria

Il convegno è rivolto a tutti coloro che desiderano approfondire ed esplorare le tematiche ambientali in chiave interdisciplinare, ed è particolarmente consigliato a insegnanti, educatori, tecnici del territorio, amministratori locali, studenti, associazioni culturali e ambientaliste. Ai docenti partecipanti verrà rilasciato un attestato valido ai fini dell’aggiornamento professionale.

Iscrizione obbligatoria tramite link: https://forms.gle/3DpFUwemob3WDNHx6


Città Metropolitana di Torino, Abbazia di Novalesa 

in collaborazione con: Unione Montana Valle Susa,  Meridiani società scientifica, progetto Ghiaccio fragile, SMI, ANISN Piemonte, La Valsusa, ACSEL