Tu!

I settimana T.O.

La pagina che leggiamo come prima lettura di questa Liturgia non è facile da capire. Come possiamo accettare, o peggio ancora, coltivare l’immagine di un Dio che dà un ordine come questo: <vota allo sterminio quei peccatori di Amaleciti, combattili finché non li avrai distrutti> (1Sam 15, 18)? Eppure, attraverso questo episodio, che si conclude con il rifiuto di Saul come re di Israele, il profeta Samuele ricorda come, la cosa più importante sia quella di coltivare, con il Signore, una relazione senza compromessi e senza malintesi: <Il Signore gradisce forse gli olocausti e i sacrifici quanto l’obbedienza alla voce del Signore? Ecco, obbedire è meglio del sacrificio, essere docili è meglio del grasso degli arieti> (15, 22). Saul è un uomo e un re devoto, coraggioso, ma il Signore è pur sempre, per lui, una sorta di presenza assente, un terzo di cui non si può fare a meno, ma a cui mai egli si rivolge personalmente né per lamentarsi, né per pregarlo, né per lodarlo. Per Saul, il Signore Dio è sempre alla terza persona e mai un vero “Tu” come lo è per Samuele e come lo sarà, nel bene e nel male, per il re Davide.

Riprendendo questo testo alla luce del Vangelo possiamo fare un passo ulteriore proprio aiutati dal Signore Gesù che ricorda agli scribi e ai farisei: <Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare> (Mc 2, 19). L’obbedienza evocata da Samuele diventa per il Signore Gesù un vero atto d’amore che si fa docilità alla relazione con le sue esigenze vive, le quali esigono una disponibilità creativa a non fissarsi ossessivamente su regole esterne, per essere attenti a tutto ciò che cresce dentro di noi e attorno a noi, come espressione di vita che è sempre da accogliere generosamente e non da controllare e mortificare. Le parole del salmista non fanno che confermare ampiamente questo respiro che non è affatto corto e sempre un po’ affannato, ma profondo e rigenerante: <Chi offre la lode in sacrificio, questi mi onora; a chi cammina per la retta vita mostrerò la salvezza di Dio> (Sal 49, 23).

L’assenza non è qualcosa da eternizzare, ma richiede la disponibilità per dinamizzare l’attesa. Come commenta padre Guillaume: <Il digiuno è l’assenza di un amico, che nulla e nessuno può rimpiazzare. Collocando il digiuno nel registro dell’amicizia e dell’amore, Gesù tocca le realtà umane più profonde e più segrete. Il cibo, come molte altre cose, non è forse, molto spesso, un modo di compensare una mancanza, di colmare un vuoto, di mascherare una ferita? Mentre il digiuno, invece, ravviva la memoria di questa assenza!>1. Non ci capiti di cadere nella trappola cui cedette il cuore di Saul: la trappola della dimenticanza. Per poter evitare questo pericolo sempre incombente siamo chiamati a digiunare ogni giorno da noi stessi per nutrirci del pane duro del desiderio e della memoria.


1. Dom GUILLAUME, Sui sentieri del cuore, Paoline, Milano 2011, pp. 33-34

Accogliere… dolcemente

Battesimo del Signore 

Concludiamo con la festa di oggi il tempo di Natale e possiamo lietamente lasciarci alle spalle un altro ciclo festivo con la consapevolezza di come ogni volta che celebriamo il mistero di Cristo Signore questo ci <rigenera e ci rinnova nello Spirito Santo> (Tt 3, 5). Sulle sponde del Giordano l’acqua sembra scorrere come fuoco così il mistero della purificazione diventa non semplicemente un modo di lavare, ma anche di temprare. Nelle acque del Giordano il Verbo fatto carne è entrato nel crogiolo e nella fucina della nostra umanità sottomettendo se stesso a due operazioni convergenti: ammorbidire e temprare senza mai né indurire né cedere alla mollezza. La parola dell’apostolo Paolo ci aiuta a dare contenuto al cammino che la presenza tra noi di Cristo Signore apre per ciascuno di noi che abbiamo ricevuto non solo il battesimo di acqua ma anche quello del fuoco attraverso cui abbiamo ricevuto il dono dello Spirito Santo: <vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà> (2, 12).

Per comprendere cosa significhi tutto questo lo stesso apostolo ci aiuta a distogliere lo sguardo da noi stessi per porlo decisamente sul Signore Gesù il quale <ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone> (2, 14). Il profeta Isaia suona la tromba della consolazione ed evocando l’insieme dei simboli divini si congeda dal suo ministero profetico che è così presente in tutto il tempo dell’Avvento e del Natale con un’immagine – quella del <pastore> – che si condensa in un avverbio: <dolcemente> (Is 40, 11). Contemplando il mistero del battesimo del Signore possiamo notare come il Cristo non si tuffa atleticamente nelle acque del Giordano ma si immerge in esse anzi si lascia immergere come tutti accettando si seguire il cammino di ognuno di noi.

Luca ci ricorda che lo Spirito Santo e la voce del Padre si fanno presenti solo quando <tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera…> (Lc 3, 21). L’immagine che è ritornata più volte durante il tempo natalizio di Maria in pensoso atteggiamento di meditazione, si completa in questo particolare del modo di essere in mezzo a noi del Signore Gesù: in preghiera! È infatti la preghiera il luogo in cui continuamente possiamo vivere i nostri battesimi e in cui dolcemente siamo chiamati ad immergerci nel mistero della vita come luogo in cui l’acqua delle nostre umane realtà riceve il fuoco della divina presenza.

Accueillir… doucement

Baptême du Seigneur –

Par la fête de ce jour, nous concluons le temps de Noël et nous pouvons nous reposer, joyeusement, sur les épaules d’un autre cycle festif, en ayant conscience, comme chaque fois que nous célébrons le mystère du Christ Seigneur, d’être «  régénérés et renouvelés dans l’Esprit Saint » ( Tt 3, 5 ). Sur les rives du Jourdain, l’eau semble courir et se déplacer comme  un feu, de même le mystère de la purification n’est pas simplement une façon de laver, mais aussi de fortifier. Dans les eaux du Jourdain, le Verbe fait chair est entré dans le creuset et la forge de notre humanité se soumettant soi-même à deux opérations convergentes : ramollir et fortifier, sans jamais endurcir ni céder à la mollesse. La parole de l’apôtre Paul nous aider à donner un contenu au chemin que la présente du Christ parmi nous ouvre pour chacun de nous qui avons reçu, non seulement le baptême d’eau, mais aussi celui du feu par lequel nous avons reçu le don de l’Esprit Saint : «  vivre dans ce monde avec sobriété, justice et piété » ( 2, 12 ).

Pour comprendre la signification de tout cela, le même apôtre nous aide à détacher le regard de nous-mêmes pour le porter décisivement sur le Seigneur Jésus qui «  s’est donné pour nous, pour racheter toute iniquité et former pour Lui un peuple pur qui lui appartient, plein de zèle pour les bonnes oeuvres » ( 2, 14 ). Le prophète Isaïe sonne la trompette de la consolation et, en évoquant l’ensemble des symboles divins, il prend congé de son ministère prophétique, si présent pendant tout le temps de l’Avent et de Noël par l’image – du «  berger » – que l’on peut condenser dans l’adverbe «  doucement » ( Is 40, 11 ). En contemplant le mystère du baptême du Seigneur, nous pouvons noté que le Christ ne plonge pas athlétiquement dans les eaux du Jourdain, mais s’immerge en elles, et se laisse même immerger comme tous en acceptant de suivre le chemin de chacun d’entre nous.

Luc nous rappelle que l’Esprit Saint et la voix du Père sont présents seulement lorsque «  tout le peuple eut été baptisé et, au moment où Jésus, baptisé lui aussi, se trouvait en prière… » ( Lc 3, 21 ). L’image revenue le plus souvent durant le temps de Noël – celle de Marie dans une attitude pensive de méditation – est complétée  par la particularité de la façon d’être du Seigneur Jésus : en prière au milieu de nous ! La prière est en effet le lieu où nous pouvons continuellement vivre nos baptêmes et où nous sommes appelés, doucement, à nous immerger dans le mystère de la vie, lieu où l’eau de nos réalités humaines reçoit le feu de la divine présence.

Accogliere… sempre più

11 Gennaio

Ha un sapore del tutto particolare sentire il Signore Gesù che dice: <Lo voglio!> (Lc 5, 13). Con questa parola così preziosa e così bella siamo come introdotti nel mistero della volontà di Dio che, normalmente, noi intendiamo come qualcosa che da Dio viene verso di noi – quasi ci sovrasta e talora ci opprime – e invece sembra che, in realtà, non sia altro che la riposta di Dio alla domanda dall’uomo: <Signore, se vuoi puoi sanarmi> (Lc 5, 12).

Noi tutti – ciascuno di noi – portiamo nel nostro essere i segni di una lebbra che consuma la nostra vita facendoci sentire già un pochino morti. Per questo ognuno di noi è invitato ad aprirsi al grande mistero: <Dio ci ha dato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio> (1Gv 5, 11) e l’apostolo, da parte sua, chiarisce e sottolinea: <Chi ha il Figlio ha la vita> (1Gv 5, 12).

Aprire i nostri occhi e il nostro cuore sul mistero del Verbo Incarnato dovrebbe essere per noi un continuo stupore davanti allo stesso mistero della vita e alle sue potenzialità. Non di rado abbiamo l’impressione che la morte abbia la meglio e, invece, noi portiamo nel cuore – nel più profondo del nostro cuore e nell’essenza stessa del nostro essere – un seme di vittoria sul male e sulla morte nelle sue diverse forme: <chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?> (1Gv 5, 5).

Questo credere in Gesù e riconoscerlo come Figlio di Dio non è semplicemente una questione di “credo” ma è una questione di vita. Si tratta di riconoscere nei tratti e nella logica del mistero pasquale il segreto della vita, la possibilità di guarire da ogni <infermità> (Lc 5, 15).

Ogni volta che facciamo esperienza di qualcosa che blocca la nostra vita e che ci rende infermi dobbiamo essere pronti a combattere contro l’idea che Dio voglia la nostra infermità per volgerci a lui <pregandolo: “Signore, se vuoi puoi sanarmi”> (Lc 5, 12). È importante formulare questa preghiera per evitare di pensare che Dio voglia la nostra sofferenza, Lui che vuole – in realtà e sempre – la nostra gioia!

Certo, la preghiera non è esaudita solo quando ottiene ciò che chiede ma pure quanto, in una relazione sempre più profonda, si apre – proprio attraverso la preghiera – a nuovi orizzonti di comprensione e di accettazione fino a quel momento sconosciuti e persino temuti.

Accogliere la volontà di Dio nella nostra vita e nella nostra storia passa sempre attraverso il coraggio di esprimere fino in fondo il nostro desiderio: <Padre, se vuoi, allontana da me questo calice> (Lc 22, 42). Non è forse questo il vero modo per essere in grado di berne l’amarezza fino in fondo ma non da soli?!

Accogliere… la sapienza

10 Gennaio

La conclusione del Vangelo di oggi apre il nostro cuore quasi ad un desiderio di imitazione: <Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca> (Lc 4, 22). Mentre portiamo a compimento i giorni della letizia del tempo di Natale che si concluderà domani con la festa del Battesimo del Signore, non possiamo che condividere il sentimento dei nazaretani che sono <meravigliati>. Per i concittadini del Signore lo stupore è duplice: da una parte l’ammirazione per <le parole di grazia> pronunciate dal Rabbì e dall’altra per il fatto che tutta questa sapienza fiorisca sulle labbra di uno di loro. Chissà forse qualcuno degli astanti conserva nel cuore la preziosa memoria di qualche allegra battuta, di giovanili risate e – perché no! – di qualche inevitabile alterco con il “loro” Gesù. Non è diverso per noi che – spesso – pensiamo di conoscere bene il Signore Gesù fino a quando egli non entra nella <sinagoga> (Lc 4, 16) del nostro cuore e si mette a <leggere> nella nostra vita con tono così nuovo da riaprire in noi le porte della speranza. Il Signore Gesù si dimostra veramente capace di <leggere>, decifrare e annunciare la Parola di Dio racchiusa nelle Scritture proprio per questa sua attitudine a dire <parole di grazia>. Un cammino che viene offerto anche per ciascuno di noi: lasciarci inondare dalla presenza di un Dio che <ci ha amato> e permette che noi <amiamo> (1Gv 4, 19) a nostra volta divenendo capaci di esprimere i nostri sentimenti, le nostre emozioni, la nostra volontà sempre e proprio con parole e gesti profumati di grazia che rivelano e donano <a tutti i popoli la sapienza eterna> (Colletta). Nell’insieme della liturgia odierna sembra proprio che la sapienza è quella che il Signore Gesù ha <allevato> dentro di sé per il lungo tempo in cui ha vissuto nascostamente <a Nazaret dove era stato allevato> (Lc 4, 16). Come dice l’esegeta alessandrino rivolgendosi alla nostra assemblea e al nostro cuore: <Anche ora, se lo volete, in questa sinagoga, in questa nostra assemblea gli occhi vostri possono fissare il Salvatore. Quando voi riuscite a rivolgere lo sguardo più profondo del vostro cuore verso la contemplazione della Sapienza, della Verità e del Figlio unico di Dio, allora i vostri occhi vedranno Gesù. Felice assemblea quella di cui la Scrittura testimonia che “gli occhi di tutti erano fissi in lui”>1. Non ci resta che tenere <fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede> (Eb 12, 2).


1. ORIGENE, Omelie su Luca, 32, 6.

Accogliere… la presenza

9 Gennaio

Il vangelo di quest’oggi ci dona una parola che possiamo come considerare il dono particolare della rinnovata celebrazione del mistero dell’incarnazione: <Coraggio, sono io non abbiate paura> (Mc 6, 50). Il testo di Marco ci fa ancora una volta <salire sulla barca> e ci dice che il Signore <costrinse i suoi discepoli a precederlo sull’altra riva> (6, 45) mentre, nella prima lettura, l’apostolo Giovanni forse ci offre una possibile chiave di lettura per comprendere cosa sia realmente questa barca e a che cosa possa alludere la fatica <nel remare> (6, 48) che muove a compassione il Maestro fino a farsi prossimo ai suoi discepoli nella notte. Tutti noi facciamo esperienza di quanto sia faticoso <remare> nel senso di amare i nostri fratelli e sorelle e di quanto nell’esperienza dell’amore spesso e volentieri non solo si è costretti ad imbarcarsi ma pure a sostenere <il vento contrario>. Eppure, la parola dell’apostolo è come una bussola che ci permette non perdere il giusto orientamento anche quando la notte si fa fitta e la tempesta ci intimidisce: <Nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore> (1Gv 4, 18). Il messaggio e l’appello con cui ci congediamo da questo tempo di Natale è dunque un forte invito ad avere il <coraggio> di amare e di amare in modo <perfetto>. Una domanda si affaccia più che naturalmente al nostro cuore normalmente abitato da timori e da lentezze: “Cosa mai può significare amare in modo perfetto?”. La perfezione dell’amore non consiste di certo in un amore impeccabile ma nella volontà di continuare a remare pur con fatica e nonostante ogni <vento contrario> (Mc 6, 48). L’esempio ce lo dà lo stesso Signore Gesù il quale dopo aver <congedato la folla> (6, 46) e aver riguadagnato un po’ di solitudine <sul monte a pregare> non esita a raggiungere i suoi discepoli per soccorrerli e sollevarli nella loro fatica. Veramente il Verbo si è fatto carne per noi e per la nostra salvezza al fine di rendere il nostro cammino di uomini e di donne meno faticoso e più sereno. Il mistero dell’incarnazione nel quale si è pienamente e stupendamente manifestato l’amore di Dio per noi in tutta la sua qualità e densità ha una grande conseguenza che ci riguarda e che viene così riassunta dall’apostolo Giovanni che più e meglio di tutti ne ha conosciuto e penetrato le profondità: <se Dio ci ha amato così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri> (1Gv 4, 11). Se poi non sapessimo dare un contenuto concreto a questo dovere imprescindibile di amarci reciprocamente, allora potremmo fare nostra la parola del Signore: <Coraggio… non abbiate paura> (Mc 6, 50). Portiamoci via da questo Natale come dono e come impegno il desiderio di farci reciprocamente coraggio per remare insieme nel mare della vita con minore fatica e con gioia crescente: l’amore non è un <fantasma> (Mc 6, 49)!

Accogliere… precedere

8 Gennaio

La folla che precede Gesù è un simbolo forte della nostra umanità che ha bisogno del Signore, il quale accetta di avere bisogno della nostra umanità fino a farsi precedere nel dono per farsi dono. In tal modo si manifesta l’abisso dell’amore divino, di cui ci parla la prima lettura, esprimendo fino in fondo i suoi sentimenti di uomo all’altezza della sua umanità e a servizio della nostra. Come dice un maestro spirituale poco conosciuto, ma tanto penetrante <il proprio dell’amore è quello di donare sempre e di ricevere sempre>1. Così l’apostolo Giovanni trova le parole giuste per riassumere e portarci al cuore della manifestazione di Dio in Cristo Gesù: <In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi> (1Gv 4, 10). In questi giorni che intercorrono tra l’Epifania del bambino Gesù ai Magi e la Teofania presso il Giordano, la Liturgia ci aiuta a cogliere ed accogliere i vari modi con cui il Signore si fa presente alla nostra vita ci accompagna in ogni suo tornante chiedendoci di diventare, a nostra volta e in prima persona, mediatori e testimoni di un Dio che si fa prossimo ad ogni uomo e ad ogni donna soprattutto se bisognosi e feriti.

Una di queste rivelazioni del modo con cui Dio accompagna il nostro cammino è certamente il suo farsi pane per ogni nostra fame e il farsi attenzione ai nostri più elementari bisogni in una infinita <compassione> (Mc 6, 34). La folla ha intuito che Gesù ha occhi per il suo dolore e per questo non solo lo segue, ma lo precede e questo proprio perché, in realtà, si sente preceduta nella conoscenza e nella risposta a quella fame di attenzione e di cura i cui morsi, talora, stringono non solo lo stomaco, ma soprattutto il cuore. E si può ben dire che la folla ha ragione, che la folla non si è affatto sbagliata visto che appena Gesù scende dalla barca prova un’emozione forte che è la stessa provata dal padre al ritorno a casa di quel figlio perduto e ritrovato (cfr Lc 15, 20). Il Signore Gesù con la sua parola non solo ci raduna attorno a sé, ma come una vera madre, al suo senso pieno di amore ci nutre e ci rinfranca.

Il Signore Gesù non può accettare il consiglio dei suoi discepoli: <congedali…> (Mc 6, 36) e al contrario li esorta a coinvolgersi profondamente con il bisogno di questa gente accettando di diventare mediatori di una abbondanza di vita che sorprenderà loro stessi e li aiuterà ad assumere sempre più profondamente il loro carattere apostolico imparandone i modi dallo stesso Maestro. La domanda posta dal Signore Gesù ai suoi discepoli imbarazzati e forse persino un po’ infastiditi dal bisogno della folla, riguarda anche noi: <Quanti pani avete? Andate a vedere> (6, 38). Fu così che i discepoli scoprono di avere anche <due pesci> che, se condivisi, non possono essere pochi. La domanda può diventare per noi, alla luce di quanto l’apostolo Giovanni ci ricorda nella prima lettura, “quanto amore avete” e per quanto poco esso è sempre capace di saziare: <perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio> (1Gv 4, 7). o e sorella, nel tuo nome!


1. J. RUYSBROECK, I sette gradi dell’amore divino.

Accogliere… convertire

7 Gennaio

Il cammino di Gesù riprende esattamente dove si ferma quello di Giovanni Battista. Questo è un altro modo per sottolineare la verità della carne assunta dal Verbo e la cui negazione sarebbe un modo per separarsi nettamente da quel flusso di salvezza che ci viene descritto nella prima lettura come un processo di accoglienza piena della manifestazione di Dio nella nostra storia che rende ormai impossibile una rivelazione che sia vera fuori e, ancor meno, al di sopra delle ombre e penombre di cui è impastata la nostra umanità: <In questo potete riconoscere lo Spirito di Dio: ogni spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio>. E, come se non bastasse, l’apostolo non esita a trarre le conclusioni: <Questo è lo spirito dell’anticristo che, come avete udito, viene, anzi è già nel mondo> (1Gv 4, 2-3). Al contrario dell’anticristo, il Signore Gesù – il Cristo di Dio – assume pienamente la fragilità, la debolezza e l’incertezza della nostra carne, e si inserisce umilmente nella nostra storia aspettando, per così dire, il suo turno, senza saltare la fila: <quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nazaret e andò ad abitare a Cafarnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zabulon e di Neftali…> (Mt 4, 12-13).

Il Signore Gesù è un uomo della strada e, soprattutto, si mostra docile a quei segni che la vita pone sul suo cammino e che indicano i passi necessari e, soprattutto, fa presagire il modo nuovo di annunciare la presenza del Regno. Se è vero che Gesù prende il testimone di Giovanni è pur vero che il suo modo non è identico. Una cosa da notare e da sottolineare che è che il Battista, che pure si presenta nella forza di Elia, non compie nessun miracolo e non opera nessun segno di guarigione. La totalità dell’annuncio del Battista sta nel suo pressante invito alla conversione, il Signore Gesù riprende identicamente questo invito e lo contestualizza in un ministero di guarigione assolutamente gratuito nel senso che non è condizionato ad una volontà e scelta di conversione: <percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno di Dio e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo> (4, 23).

Sembra proprio che il sublime mistero dell’incarnazione comporti una continuità, ma pure una diversità rispetto a quello che era il modo di agire e di predicare del Battista quasi a motivo di una divina consapevolezza della fragilità e dei bisogni della nostra condizione umana più acuta. Per questo è il Signore Gesù che si mette in cammino verso gli altri senza limitarsi ad aspettare che questi vengano a lui per chiedere una parola di conversione e di salvezza. Così l’incarnazione e la condivisione serena della reale condizione dell’umanità che va raggiunta e non semplicemente aspettata al varco della salvezza, diventano un criterio di discernimento non solo sull’uomo, ma anche su Dio per non cadere nella trappola di trovarsi, talora con le migliori e più devote intenzioni, dalla parte dell’<anticristo>. La parola del profeta potrà compiersi ancora ai nostri giorni soli se entriamo e rimaniamo nella logica della carne del Verbo che è la <grande luce>!

Accogliere… la luce

EPIFANIA del SIGNORE

La parola dell’apostolo Paolo ci permette di entrare direttamente e gioiosamente nel clima di questa solennità che celebra la pienezza del mistero dell’Incarnazione dopo le dodici notti che sono passate dal Natale del Signore: <Le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo> (Ef 3, 6). La Pasqua raggiunge la sua pienezza al mattino di Pentecoste quando gli apostoli sono in grado, per il dono e la forza dello Spirito, di uscire allo scoperto e annunciare a tutti che Cristo è Risorto e Vivente. Così pure il Natale del Signore si ammanta di luce ancora più fulgida nell’Epifania. Si compie oggi il sogno e la visione del profeta Isaia: <Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere> (Is 60, 3). L’evangelista Matteo ci racconta come alcuni <Magi vennero da Oriente a Gerusalemme> portando con sé una straordinaria scoperta: <Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo> (Mt 2, 1-2). La nascita della Chiesa, quale sacramento di salvezza per l’umanità tutta, si manifesta sin dal mattino di Pentecoste come una realtà costitutivamente ibrida e inclusiva di tutti i popoli e di ogni cultura. Questo perché il suo mistero radica nella rivelazione di Dio che, nella carne del Verbo, viene accolto dai più lontani, dai più estranei, dai meno facilitati. Sono i Magi che, nel vangelo secondo Matteo, tengono il posto degli angeli di cui parla Luca e sono loro che vengono ad annunciare ad Israele il compimento delle promesse. Tutto questo non può che turbare <tutta Gerusalemme> (Mt 2, 3). ma non turba affatto gli stessi Magi. Costoro sono uomini che cercano sinceramente la verità con purezza di cuore. Per questo i Magi sanno sempre rimettersi in strada e persino rettificare la direzione fino a cambiare totalmente programma: <per un’altra strada fecero ritorno al loro paese> (Mt 2, 12). Da questi uomini sapienti che hanno conservato la semplicità di un bambino che permette loro di non scandalizzarsi, ma di rallegrarsi quando <videro il bambino con Maria sua madre< (2, 11), molto dobbiamo imparare come discepoli e come Chiesa. Si tratta di una profonda conversione a ciò che Lévinas spiegherebbe così: <L’idea di una verità la cui manifestazione non è gloriosa né clamorosa, l’idea di una verità che si mostra nella sua umiltà come la voce di fine silenzio>. Lasciamoci condurre dal <sogno> (Mt 2, 12) di una verità fatta <bambino> e accogliamo la sua guida (Is 11, 6) accettando di cambiare sempre strada senza mai desiderare una méta diversa.

Accogliere… passare!

4 Gennaio

L’apostolo Giovanni, nella prima lettura di quest’oggi ricorda non solo a ciascun credente ma ad ogni uomo e donna che vivono, soffrono e sperano sulla terra che <un germe divino rimane in lui> (1Gv 3, 9). Ora questo <germe divino> che abita nelle più alte profondità della nostra umanità, in Gesù si fa sguardo e si fa gesto capaci di risvegliare nei cuori uno slancio e un desiderio capace di aprire nuovi cammini e nuove speranze fino a farsi domanda ferma e amorevolissima: <Rabbì, – che, tradotto, significa maestro – dove dimori?> (Gv 1, 38). Conosciamo tutti la risposta che il Maestro, che viene dalla Galilea dà ai discepoli del Battista che diventano così la primizia della comunità che si stringe attorno a lui. Tuttavia, alla luce di quanto viene detto nella prima lettura la risposta va interpretata in modo più ampio e più profondo anche perché non ci è detto molto per capire meglio <dove egli dimorava> (Gv 1, 39). In ogni modo il luogo in cui il Signore Gesù si lascia incontrare non è che un simbolo dell’unico luogo in cui lo si può veramente conoscere e amare: questo luogo è il cuore profondo dell’uomo in cui la presenza di Dio si inabissa come <germe> di vita che dà vita.

Il modo in cui il Signore Gesù <passava> (Gv 1, 36) sulle strade della Palestina è la rivelazione del modo in cui da sempre e per sempre Dio ama passare e passeggiare nei corridoi – talora bui e senza uscita apparente – della nostra umanità: <Il venire di Gesù così determinato all’incontro, non è un’irruzione violenta, ma può essere notato. Giovanni vede venire Gesù, il quale non giunge di soppiatto, non balza improvviso sulle persone, ma consente loro un acclimatamento. […] Non si dice più di Gesù che viene verso Giovanni, ma di Gesù che cammina. Gesù non è più, come in prima battuta, colui che viene: ora egli è colui che passa. In tal modo egli suscita l’attenzione dell’altro, gli concede di attivarsi>1. Segno ne è che la presenza discreta, ma interrogante di Gesù crea in modo del tutto naturale un vortice, un passaparola che imprime ai cuori un dinamismo completamente nuovo capace di rimettere in cammino non solo i piedi, ma soprattutto i cuori che si aprono, in modo del tutto naturale, ad un passo nuovo che implica l’abbandono di ciò che già si conosce e si è sperimentato per affacciarsi serenamente e appassionatamente verso un futuro inedito: <Venite e vedrete> (1, 39).

Il dinamismo di ricerca e di condivisione sempre più allargata di una ricerca che rinnova la vita e ne scalda il desiderio non può che essere un dinamismo ermeneutico che continuamente si interroga e si lascia interrogare per tradurre al fine di capire e di permettere all’altro di comprendere sempre meglio che cosa sta succedendo e che cosa potrebbe ancora succedere. Se il criterio di discernimento è che <chi non pratica la giustizia non è da Dio, e neppure lo è chi non ama suo fratello> (1Gv 3, 10). Possiamo così cogliere come e quanto il passaggio di Gesù permette alla fraternità e all’amicizia di rimettersi in moto.


1. A. FUMAGALLI, Come lui ha amato. L’eros di Gesù, San Paolo 2010, p. 21.