Il tuo nome è Intuizione, alleluia!

Domenica di Pasqua

Non sosteremo mai abbastanza sulla nota caratteristica del quarto vangelo per indicare gli indizi del grande evento della risurrezione: <e il sudario. che era stato sul suo capo, non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte> (Gv 20, 7). Su questo particolare i santi Padri come i moderni teologi hanno molto riflettuto dando diverse interpretazioni e, come nel caso di Agostino, arrivando persino a rinunciare a spiegare troppo il mistero di questo <sudario… piegato> in modo diverso da tutto il resto. Dopo Maria di Magdala, con Simon Pietro e il discepolo amato anche noi arrivando questa mattina al sepolcro ove dovrebbe giacere il corpo inerme del Signore Gesù, non possiamo che scandagliare tutti i minimi particolari. Sial il nostro modo per cercare di comprendere per intuire che cosa sia avvenuto e che cosa stia avvenendo attorno a noi e dentro di noi. Giovanni Crisostomo dice che se qualcuno avesse voluto trafugare il corpo del Signore – come sosterrà Maria parlando con il giardiniere – non avrebbe sprecato tempo nel ripiegare ordinatamente il sudario. Ma un altro Padre – Cirillo di Gerusalemme – è ancora più raffinato nel cogliere che questo sudario è <piegato> come se non avesse avuto nessun contatto con la morte poiché il corpo del Signore è <carne senza carne> anzi è <carne santa>. Potremmo dire che proprio nel momento della morte e della sepoltura il <Verbo si fece carne> (Gv 1, 14) e si fece <carne santa> per dare alla nostra carne e alla nostra umanità tutta la speranza della sua divinità. Così il sepolcro assume tutta la sua valenza di “monumentum/séma” in cui – sia in greco che in latino – troviamo la compresenza del legame alla morte che si fa testimonianza di qualcosa che la morte non può vincere e su cui non ha presa. Per questo la nostra non può che essere l’invocazione dei discepoli viandanti in cammino verso Emmaus: <Resta con noi, perché si fa sera>. 

TON NOM EST INTUITION, ALLELUIA !

DIMANCHE de PÂQUES 

Nous ne nous arrêterons jamais assez sur la note caractéristique du quatrième évangile pour indiquer les indices du grand évènement de la résurrection: ” et le suaire qui recouvrait sa tête n’était pas posé là avec les linges, mais il était plié dans un lieu à part ” ( Jn 20, 7 ). Sur cette particularité, les saints Pères ainsi que les théologiens modernes ont beaucoup réfléchi en donnant diverses interprétations et, comme dans le cas d’Augustin, ils sont même arrivés à renoncer à toute explication sur le mystère de ce ” suaire …plié ” de manière différente à tout le reste. Après Marie de Magdala, avec Simon Pierre et le disciple aimé, nous aussi, en arrivant ce matin au sépulcre où devait gésir le corps inerte du Seigneur Jésus, nous ne pouvons qu’analyser toutes les plus petites particularités. Que ce soit notre façon de chercher à comprendre pour deviner ce qui est arrivé et ce qui s’est passé autour de nous et en nous. Jean Chrysostome dit que si quelqu’un avait voulu emporter le corps du Seigneur – comme le supposera Marie en parlant avec le jardinier – il n’aurait pas perdu de temps à replier avec soin le suaire. Mais, un autre Père – Cyrille de Jérusalem – est encore plus raffiné en précisant que ce suaire a été ” plié” comme s’il n’avait eu aucun contact avec la mort, car le corps du Seigneur est ” chair sans chair”, il est ” chair sainte “. Nous pourrons dire que juste au moment de la mort et de la sépulture, le ” Verbe se fit chair ” ( Jn 1, 14 ) et se fit ” chair sainte ” pour donner à notre chair et à notre humanité toute espérance en sa divinité. Ainsi le sépulcre assume toute sa valeur de ” monumentum/séma ” où  – que ce soit en grec ou en latin – nous trouvons la co-présentation du lien à la mort qui se fait témoignage de quelque chose que la mort ne peut vaincre et sur qui elle n’a aucune prise. Pour cela, notre prière ne peut être que l’invocation des disciples voyageurs, en chemin vers Emmaüs : ” Reste avec nous, car le soir approche “.

Silenzio

Sabato Santo  –

Tra la grande abbondanza di testi della Liturgia del Venerdì Santo e quella ancora più ricca della Veglia Pasquale, il Sabato Santo è consegnato all’assoluto silenzio, all’assoluta nudità: il Verbo che si fece Parola si è fatto silenzio! Tutto in questo giorno richiama al silenzio e, ancora più profondamente, invita a percepire il vuoto, l’assenza, l’abisso. Come il primo Adamo nel primo giardino dopo il grande lavoro della nominazione degli animali (Gn 2, 19), viene fatto addormentare per trarre dall’altro suo lato la donna – pienezza della sua vita – così pure il Signore Gesù, dopo aver compiuto ogni cosa, si addormenta. Il suo è un sonno regale come lo è il sonno di ogni bambino attorno a cui tutto è orientato a proteggere il silenzio e la quiete per favorire il sonno e il riposo. Gesù oggi dorme! La Chiesa quale sposa fedele e casta condivide il suo riposo addormentandosi accanto a lui nella pace: <La sua sinistra è sotto il mio capo> (Ct 2, 6). Il Sabato Santo ci svela il senso più profondo del sabato: accogliere l’invito ad entrare nel riposo di Dio (Eb 4, 9), nel silenzio di Dio, nel vuoto di Dio da cui ogni cosa prende vita. La liturgia ci offre oggi una pagina vuota – come in nessun altro giorno dell’anno – ci offre uno spazio inerte e inerme in cui siamo chiamati, finalmente, ad addormentarci e possibilmente a sognare per scrivere finalmente la nostra parte di storia nella Storia di Dio. Ogni volta che anche a noi tocca di attraversare il dramma del Venerdì Santo siamo chiamati come Gesù e con Gesù ad addormentarci e a lasciarci deporre a nostra volta nella pietra muta e nuda di <un sepolcro nuovo> (Gv 19, 41): il nostro essere unico e irripetibile! La vita, la resurrezione, la trasformazione non è frutto di quello che avremo compiuto, ma sarà solo l’esplodere di qualcosa di assolutamente nuovo e totalmente indipendente dalla nostra volontà e dalla nostra forza. Il Sabato Santo ci ricorda che il segreto di ogni nostro giorno è dormire ogni notte! Addormentarsi significa avere fiducia che attorno a noi qualcuno veglierà sulla nostra vita quando noi non saremo in grado di fare niente per noi stessi immersi nel sonno come siamo. Il Sabato Santo ci invita a lasciarci andare al sonno e a lasciarci sorprendere dal sogno, senza temere di essere condotti in terre sconosciute e persino negli abissi della terra e del cuore. La risurrezione, la speranza di una vita nuova e del rinnovarsi continuo della vita sembra dipendere dalla nostra capacità ad accettare, dopo i momenti più terribili della nostra esistenza, che una <pietra> (Gv 11, 41; Gv 20, 1) ci separi da tutto e da tutti in attesa del grande risveglio che è la risurrezione come insurrezione della vita di Dio contro ogni attentato di morte. Quando la tenebra del Venerdì Santo avvolge e sembra inghiottirci, non ci resta che dire a noi stessi: “dormi!” <come un bimbo svezzato in braccio a sua madre> (Sal 131, 2). In questo giorno siamo chiamati a riconciliarci con il vuoto e con l’ignoto. In questo giorno siamo invitati ad accogliere gentilmente nella nostra intelligenza della vita l’ambiguità e il paradosso. Da questo giorno, in cui accettiamo di essere inermi fino a sembrare inerti, potrà scoccare una nuova luce per un nuovo fuoco in un nuovo modo di stare al mondo. Riposiamo dunque nel silenzio per non rendere impossibile la nostra possibile risurrezione!

Compimento

Venerdì Santo  –

<Tutto è compiuto!> (Gv 19 30). Queste le ultime parole del nostro amato Signore che muore non solo nella pace, ma nella piena soddisfazione. Finalmente il Verbo del Padre, che era venuto a piantare la sua tenda in mezzo a noi (1, 14), può ritornare al seno del Padre dopo aver compiuto ogni cosa: far sì che l’uomo e la donna, che per istigazione del serpente antico si erano accusati l’un l’altro davanti al loro Creatore (Gn 3), ora invece si accolgano l’un l’altro diventando una casa per Dio: <Donna, ecco tuo figlio… Ecco tua madre!> (Gv 19, 26-27). L’evangelista Giovanni non può dare spazio alla tenebra che avvolge il Calvario come fanno Marco e Matteo e, per questo, stende il più luminoso dei veli di pietà con queste splendide parole: <E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé> (Gv 19, 27). Dall’alto della croce il Signore Gesù volge lo sguardo a ciascuno di noi. Siamo noi che, come i discepoli, gli abbiamo chiesto: <Maestro dove abiti?> (Gv 1,38) e finalmente oggi ci viene indicata la nostra casa nel suo cuore dolcemente trafitto. Siamo noi che, come la madre, lo abbiamo pregato: <Non hanno più vino> (Gv 2, 3), e oggi possiamo – sotto la croce – raccogliere il frutto più squisito ed inebriante che stilla dal suo cuore traboccante. Ecco l’Ora attesa in cui il vino fluisce come sangue ed acqua, ecco la vera <ora>, profetizzata da quelle <quattro del pomeriggio> (Gv 1, 39), in cui il Maestro ci svela il suo nascondiglio. In quest’ora benedetta lo Sposo della nostra umanità è addormentato <come un prode assopito dal vino> (Sal 77, 65) sul talamo nuziale della croce che è <il nostro letto verdeggiante> (Ct 1, 16). La casa dove abita il Maestro è la tenerezza: accogliersi e custodirsi l’un l’altro come una madre per un figlio e un figlio per una madre in pura gratuità in un amore divinamente connaturale. Tutta la vita di Gesù in mezzo a noi è stata tesa a costruire per l’umanità una casa che fosse in tutto simile a quella in cui vive la stessa Trinità che è <trono della grazia> (Eb 4, 16). <Tutto è compiuto!>. Per questo il Signore Gesù non può restare più a lungo con noi e ci sussurra ancora una volta con un amore ancora più grande <È bene che io me ne vada> (Gv 16, 7) e, chinato il capo, effonde il suo Spirito sul mondo intero, effonde il suo spirito, ora, su di noi che dal più bello tra i figli dell’uomo siamo chiamati a non vivere più per noi stessi ma per gli altri, ciascuno finalmente pronto a dare <se stesso> (Is 53, 10 e 12). Cosa possiamo imparare dal mistero della croce di Cristo se non che in ogni cosa la tenerezza sia la nostra ultima parola e così il Padre sarà glorificato in noi come nel Figlio suo? Ogni volta che ci allontaniamo dalla via della tenerezza sempre possibile anche nella più cruda disumanità, rendiamo <vana la croce di Cristo> (1Cor 1, 17). Se così fosse dove troveremo riposo? 

L’ora dell’amore

Giovedì Santo  –

<Sapendo che era venuta la sua ora […] li amò sino alla fine> (Gv 13, 1). Ma cosa significa amare? L’amore sembra avere nel pensiero del Signore Gesù un particolare legame ai piedi. È, infatti, quando i suoi piedi sono stati lavati, baciati e profumati che Gesù ha sentito l’amore capace di farsi perdonare tutto: <poiché ha molto amato … a chi si perdona poco, ama poco> (Lc 7, 47). Per Gesù amare sino alla fine significa introdurre i suoi amici nel mistero dell’amore come scandalo: l’amore è assurdo, è incomprensione, è eccessivo, è oltre. Il Signore Gesù ci dice tutto ciò prendendo un po’ d’acqua e cominciando a lavare i piedi di coloro che lo hanno seguito fino a quel momento, fino a quel punto per confortarli, per rassicurarli e per prepararli al cammino più lungo che sta sempre davanti a noi e mai già dietro di noi: <Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano…> (Es 12, 11). Davanti all’imminenza della sua gloriosa passione, quando il diavolo ha già convinto Giuda, Gesù prepara i suoi come lui stesso è stato preparato e così <cominciò a lavare i piedi dei discepoli> (Gv 13, 5) perché a lui mai si possa rimproverare ciò che aveva rimproverato a Simone. Come Pietro resistiamo a qualcosa che ci sembra eccessivo e Gesù ci dice: “Lasciati fare come ho fatto io”: <lo capirai dopo> (Gv 13, 7). L’amore non è mai in verità adesso, ma dopo. L’amore vero è ciò che riesce a diventare più di un ricordo, memoria: <Questo giorno sarà per voi un memoriale> (Es 12, 14) <Fate questo in memoria di me> (1Cor 11, 24). Il Signore e il Maestro ci ha svelato il segreto della sua vita e ci ha indicato la via: per amare secondo il cuore del Padre: bisogna essere in grado di lavare i piedi degli altri. Ciò significa essere in grado di amare il cammino dell’altro, di aiutarlo e sostenerlo nel raggiungere la sua meta, il suo compimento, il fine della sua vita: unico e irripetibile, talora tragico…! Tutti noi abbiamo i piedi sporchi e abbiamo bisogno che ci venga reso questo atto di carità: accoglierci proprio con quella polvere — e forse ancora di più — che il cammino della vita inevitabilmente ammassa sui nostri piedi. Il Signore Gesù ci libera da ogni illusione di purezza che sia frutto di “pulizia personale” e ci dice in certo modo “Nessuno che cammini può avere i piedi puliti” che si può anche dire: “Nessuno può venire a me pulito”. Non si può camminare nella vita senza sporcarsi i piedi e perciò non si può crescere nell’amore senza chinarsi ai piedi dell’altro fino a sporcarsi le mani per l’altro. Non ci capiti come la Sposa del Cantico, davanti al passaggio dello Sposo, di dire: <Mi sono tolta la veste; come indossarla di nuovo? Mi sono lavati i piedi; come sporcarli di nuovo?> (Ct 5, 3). Recliniamo invece il nostro capo sul petto del Signore e piangendo lacrime di compunzione e di amore imploriamo il Maestro e il Signore, lo Sposo perché su quel cuore per essere iniziati <all’arte dell’amore> (Ct 8, 2).

CORSO DI ICONOGRAFIA