Accogliere… il tutto

Natale del Signore

La scelta delle letture che la Liturgia propone per le quattro Messe del Natale del Signore – Vigilia, Notte, Aurora, Giorno – non sono semplicemente dei formulari che si possono scegliere a proprio piacimento ma rappresentano una sorta di sguardo mistico che dalla storia – la Genealogia secondo Matteo letto alla Vigilia – conduce fino a quella che i nostri fratelli orientali chiamano la Meta-Storia. Si contemplato la radice sul cui tronco germoglia Gesù di Nazareth e ci si sofferma sul luogo e il contesto storico in cui la luce della sua presenza fece irruzione nella storia dell’umanità <sotto Quirinio> (Lc 2, 2). Tutto il mistero è rivisitato “attraverso” lo sguardo di poveri <pastori che vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge>. Nel pieno meriggio di questo Giorno Santo il nostro occhio è invitato – dopo essersi spalancato sullo spettacolo commovente di un <bambino avvolto in fasce e che giace in una mangiatoia> – ad alzarsi in volo verso un altro punto di vista: quello dall’alto, quello di Dio stesso che <molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio> (Eb 1, 1-2). 

Questo Figlio che noi contempliamo tra le braccia di Maria come uno di noi è <il Verbo> che <era presso Dio ed era Dio> (Gv 1, 1). L’evangelista che alla fine del suo testo dovrà riconoscer di aver dovuto tralasciare molte cose riguardanti Gesù perché <se fossero scritte…> (Gv 21, 25) non esita nel primo versetto del suo Vangelo a dirci tutto quello che dobbiamo sapere e che non dobbiamo dimenticare: l’incarnazione non è uno scherzo ma è qualcosa in cui Dio si è giocato fino in fondo e in modo totale e senza ritorno. Aldilà di ogni forma in cui l’intervento di Dio è stato atteso nel corso della storia del popolo della promessa e, inconsapevolmente, al cuore delle promesse attorno a cui tutti i desideri degli uomini e dei popoli si sono organizzati, questo intervento di Dio è talmente totale da non poter che suscitare l’ammirazione e l’incontenibile esultanza: <Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme> (Is 52, 9). 

Il grande annuncio che rende <belli sui monti i piedi del messaggero> (Is 52, 7) è ciò che sta al cuore del prologo di Giovanni: <E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità> (Gv 1, 14). Dopo aver detto questo non c’è più tanto da vedere quanto da accogliere a cuore aperto.

Attendere… la salvezza

24 Dicembre T.A.

Ormai giunti alla vigilia di un nuovo Natale non possiamo fare altro che attendere e sperare di fare esperienza di <salvezza> di cui la storia di Israele è un’icona offerta a tutta l’umanità non per sentirsi esclusa da un’esperienza di grazie che riguarderebbe solo pochi eletti, bensì per sentirsene profondamente e realmente partecipi. Per tre volte il termine <salvezza> ritorna nel Cantico di Zaccaria che la Chiesa ci fa pregare tutte le mattine a conclusione delle Lodi e questo tema compare in una modalità di crescendo. Dapprima è un’esperienza interna <nella casa di Davide suo servo> (Lc 1, 69); poi diviene <salvezza dalle mani dei nemici> (1, 71) per raggiungere il livello di massima profondità quando diventa <remissione dei peccati> (1, 77). In questo modo la Liturgia prepara i nostri cuori a riconoscere e ad accogliere il <salvatore> (Lc 2, 11) la cui nascita, nella notte dei nostri dubbi e delle nostre stanchezze, gli angeli annunceranno ai pastori che siamo chiamati a vegliare sul gregge dei nostri pensieri e delle nostre emozioni.

L’Avvento si conclude ed è il profeta e re Davide – pastore umile e forte – a intonare il salmo del compimento ormai imminente: <Egli mi invocherà: “Tu sei mio Padre”> (Sal 88, 27)) Le parole di Zaccaria confermano le promesse e riaccendono le speranze poiché <ha suscitato per noi un salvatore potente, nella casa di Davide suo servo> (Lc 1, 69). Il profeta Natan non cessa di richiamare la nostra attenzione: tutto quello che abbiamo preparato, tutto quello che possiamo pensare di mettere in atto perché il Regno venga in mezzo a noi impallidisce e fa un passo indietro davanti all’inenarrabile <amore edificato per sempre> che ci ricolma e, allo stesso tempo, ci supera. A Betlemme non ci sarà <posto> (Lc 2, 7) per il figlio di Davide, il quale non si presenta come re, ma come un “piccolo” che ha bisogno di essere accolto per accogliere ogni uomo e ogni donna, a cominciare dai più poveri.

Le parole che, per bocca del profeta Natan, vengono rivolte al re Davide sono in realtà indirizzate al cuore immemore di ciascuno di noi: <Sono stato con te dovunque sei andato…> (2Sam 7, 9). E mentre ci accingiamo a celebrare ancora una volta il mistero del Natale del Signore, siamo obbligati a prendere coscienza di quanto e di come il Dio dei padri cammina e continua a camminare con noi. Le parole di Zaccaria diventano un portale di ingresso nella contemplazione del dono incommensurabile del Dio fatto carne, fatto uomo, resosi uno di noi in Cristo Gesù: <egli ha concesso misericordia ai nostri padri e si è ricordato della sua santa alleanza> (Lc 1, 72). Oggi – nell’oggi della salvezza quotidianamente sperimentata – l’attesa delle generazioni così numerose da essere come <la sabbia sulla spiaggia del mare> (Eb 11, 12) e il desiderio infinito dei cuori che è come le stelle del cielo, conosce la gioia di essere esaudito e può quindi trovare <riposo> (2Sam 7, 11): Dio visita il suo popolo, Dio abita il cuore di ogni creatura facendone la sua <casa> (7, 12) e donandoci così di sperimentare la salvezza come un senso ritrovato di pace, di risposo… finalmente a casa e finalmente salvi. Un dono per noi, ma un dono che siamo chiamati ad offrire anche a quanti, ancora oggi, non hanno un <posto> in cui sentirsi a casa, in cui sentirsi sani e salvi.

Attendere… la misericordia

23 Dicembre T.A.

Nel gioioso parto di Elisabetta tutti colgono una manifestazione della <grande misericordia> (Lc 1, 58) di Dio non solo per questa piccola famiglia delle montagne, ma per tutti coloro che la invocano e la sperano. Nondimeno l’esperienza di una così grande misericordia non fa che rendere il cuore di Zaccaria ed Elisabetta ancora più attenti e generosi nell’accogliere questo figlio non per se stessi, ma come segno di una grazia che va oltre se stessi e che, in certo modo, se radica nella loro famiglia è chiamato a fiorire e fruttificare altrove. L’azione dello Spirito Santo aiuta ad Elisabetta e Zaccaria non solo a vivere la loro insperata maternità e paternità, ma a crescere interiormente in libertà proprio attraverso questa esperienza che ricevono con la giusta consapevolezza che esige una profonda gratitudine. Per questo Elisabetta non riduce il bambino che ha avuto la gioia di partorire per la sua semplice consolazione, ma si lascia interiormente conquistare dalla promessa di novità che questa nascita – forse come ogni nascita – comporta.

Così pure il mutismo di Zaccaria <si sciolse> (1, 64) in una grande benedizione che nasce da una profonda comunione tra i due genitori che in questo figlio riconoscono un invito ad aprirsi alla novità e non la semplice conferma di se stessi. Solo Elisabetta e Zaccaria conoscono profondamente e veramente il mistero di questo bambino che viene loro affidato come figlio per questo lo accolgono non semplicemente come una consolazione della loro vecchiaia, ma <come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai> e se non bastasse c’è una ulteriore specificazione che tocca direttamente il padre Zaccaria di discendenza levitica: <Siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia> (Mal 3, 2-3). Giovanni purifica suo padre e si presenta sulla scena della storia come una primizia di quella giustizia che la sua predicazione compirà aprendo la strada alla forza del Vangelo.

Così oggi si compie la parola di Malachia: <Convertirà il cuore dei padri verso i figli> (3, 24). L’accordo inatteso tra il padre e la madre, se stupisce i parenti, conferma quanto la fedeltà di Dio sia il cuore della vita di questa coppia benedetta dopo lunghe e “sospirate” attese. In questo docile e così dolce piegarsi del padre verso il mistero del figlio acconsentendo alla volontà espressa dalla madre, si possono decifrare le lettere di un nuovo alfabeto che sta nascendo nelle ombre dell’umanità apertasi ormai alle prime luci del <giorno della sua venuta> (3, 2). Ciò che le Scritture dicono del Battista è il dono di misericordia e di tenerezza che il Verbo fatto carne vuole donare come esperienza a ciascuno di noi: <E davvero la mano del Signore era con lui> (Lc 1, 66).

Attendere… sicuri

IV Domenica T.A.

La promessa del profeta Michea arriva direttamente al cuore: <Abiteranno sicuri> (Mi 5, 3). Sentirci al sicuro è uno dei bisogni fondamentali di ogni creatura sotto il cielo… chissà perfino le stelle e i pianeti avranno bisogno di sentirsi al sicuro nell’armonia degli universi. Il salmo trasforma questa necessità che ci portiamo nella profondità delle viscere in supplica: <Tu, pastore d’Israele, ascolta, seduto sui cherubini, risplendi> (Sal 79, 2). La sola evocazione del nome di <Betlemme> (Mi 5, 1) risveglia in noi l’odore dei pastori e il dolce belare delle pecore… da Abele, a Giacobbe, a Mosè, a Davide… a Gesù! I <cherubini> invocati ed evocati dal salmo i incarnano nelle ali che la gioia dell’evangelizzazione ricevuta da Gabriele sembra mettere ai piedi della giovane Maria la quale <andò in fretta verso la regione montuosa> (Lc 1, 39).

Nel momento in cui Maria si scopre madre non può che assumere tutto il carattere di quel figlio che porta in grembo non solo per la sua, ma per la gioia di tutti… e allora non ci si può che mettere in viaggio. La parola del Verbo eterno: <Ecco, io vengo…> (Eb 10, 9) diventa il dinamismo proprio della vita della madre la quale acconsente alla vita in lei tanto da lasciare che la vita di Dio non solo prenda forma ma informi il suo passo, il tono della sua voce, le emozioni più genuine e forti del suo cuore la cui qualità di bellezza e di verità sono inconfondibili e impossibili a nascondersi: <Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo> (Lc 1, 41). Ben diverso è il tono del saluto di Maria da quello dell’arcangelo, la <grazia> agitata come un vessillo da Gabriele si sta ormai facendo <un corpo> (Eb 10, 5) tanto da assumere il tono di una grazia più percepibile e per nulla temibile. Ad Elisabetta non è necessario dire ciò che fu detto a Zaccaria prima e a Maria dopo: <Non temere>! Non c’è ormai più nulla da temere, il modo in cui Dio visita la nostra vita non suscita più paura, ma solo l’esultanza dello stupore più puro e gioioso.

Il seno di Maria, come l’antica arca, contiene il Santo dei Santi ma nella forma della più assoluta umiltà. Tutto sta nell’accettare l’umiltà di Dio che si fa così vicino da essere portato in modo così discreto e ciò esige di acconsentire alle vie dell’umiltà. Le salite della carità e dell’evangelizzazione sono ormai alate e leggere. In realtà tutto è uguale a prima e nulla è più come prima. La presenza nascosta e infuocata del Verbo permette ed esige uno sguardo sulle cose di sempre, sulle persone di sempre, su noi stessi di sempre… assolutamente nuovi: <A che cosa devo che la madre del mio Signore venga a me?> (Lc 1, 43). Il grido di Elisabetta fa il colore di questa domenica che si affaccia già sul Natale ormai imminente che trova nel mistero della visitazione una qualità che si rinnoverà con la visita dei pastori, dei magi. Come spiegava René Voillaume: <Maria a dato inizio a una serie innumerevole di “visitazioni” che non finirà fino a quando ci saranno uomini e donne sulla terra>1. Ciascuno di noi è chiamato a gestire e a partecipare le terre sconosciute della maternità del cuore le cui acque nutrici permettono le comunicazioni più segrete, le più belle, le più indimenticabili che permetteranno ai due bambini esultanti di riconoscersi con la discrezione propria di uomini adulti e di profeti abitati dal fuoco. Possiamo intuire perché si sentissero così <sicuri>!


1. R. VOILLAUME, Lettres aux fraternité, Cerf, Paris 1960, p. 253. 

Attendre… sûrs

IV Dimanche du T.A. 

La promesse du prophète Michée nous va droit au coeur “: Ils habiteront en sécurité ” ( Mi 5, 3 ).  Se sentir en sécurité est l’un des besoins fondamentaux de toute créature sous le ciel…qui sait, peut-être même que les étoiles et les planètes ont besoin de se sentir en sécurité dans l’harmonie des univers. Le psaume transforme cette nécessité que nous portons dans la profondeur de nos viscères en supplication : ” Toi, berger d’Israël, écoute, resplendi assis au-dessus des chérubins  ” (Ps 79, 2 ). La seule évocation du nom de ” Bethléem ” ( Mi 5, 1 ) réveille en nous l’odeur des bergers et le doux bêlement des brebis…d’Abel à Jacob, à Moïse, à David…à Jésus ! Les ” chérubins” invoqués et évoqués par le psaume incarnent par leurs ailes la joie de l’évangélisation reçue de Gabriel et semble les mettre aux pieds de la jeune Marie qui ” partit rapidement vers la région montagneuse ” ( Lc 1, 39 ).

Au moment où Marie se découvre mère, elle ne peut qu’assumer toute la nature de ce fils qu’elle porte en son sein, non seulement pour sa joie, mais aussi pour celle de tous… et alors, elle ne peut que se mettre en route. La parole du Verbe éternel ” Voici, je viens…” ( He 10, 9 ) devient le dynamisme véritable de la vie de la mère qui consent à la vie en elle pour permettre à la vie de Dieu non seulement de prendre forme, mais de former son pas, le ton de sa voix, les émotions les plus authentiques et fortes de son coeur dont les qualités de beauté et de vérité son inconfondables et impossibles à cacher : ” Dès qu’ Elisabeth entendit le salut de Marie, l’enfant tressaillit dans son sein ” ( Lc 1, 41 ). Tout différent est la tonalité du salut de Marie de celui de l’archange, la ” grâce “, agitée comme une bannière de la part de Gabriel devient désormais ” corps” ( He 10, 5 ) afin d’assumer la tonalité d’une grâce plus perceptible et en rien terrible. Il n’est pas nécessaire de dire à Elisabeth ce qui fut dit à Zaccharie d’abord et à Marie ensuite : ” Ne crains rien ” ! Il n’y a désormais plus rien à craindre, la façon dont Dieu visite notre vie ne suscite plus de peur, mais seulement l’exultation de l’étonnement le plus pur et le plus joyeux.

Le sein de Marie, comme l’arche antique, contient le Saint des Saints mais dans la forme de l’humilité la plus absolue. Tout réside dans l’acceptation de l’humilité de Dieu qui se fait si proche pour être porté de façon si discrète et cela exige d’accepter les chemins de l’humilité. Les escarpements de la charité et de l’évangélisation sont désormais ailés et légers. En réalité, tout est pareil qu’avant, et rien n’est plus comme avant. La présence cachée et enflammée du verbe permet et exige un regard…complètement nouveau… sur les choses permanentes, les personnes permanentes et notre propre permanence…: ” Comment se fait-il que la mère de mon Seigneur vienne à moi ?” ( Lc 1, 43 ). Le cri d’Elisabeth colore ce dimanche qui nous prépare déjà à Noël et trouve dans le mystère de la Visitation une qualité qui se renouvellera avec la visite des bergers et des mages. Comme l’expliquait René Voillaume : ” Marie a ouvert la voie à une série innombrable de ” visitations ” qui n’auront pas de fin tant qu’il y aura des hommes et des femmes sur terre “1. Chacun de nous est appelé à gérer et à rejoindre les terres inconnues de la maternité du coeur dont les eaux nourricières permettent les communications les plus secrètes, les plus belles, les plus inoubliables qui donneront l’occasion aux deux enfants exultants de se reconnaître avec la discrétion propre aux hommes adultes et aux prophètes habités par le feu. Nous pouvons comprendre pourquoi ils se sentaient tellement ” en sécurité ” !

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1. R. VOILLAUME, lettres aux fraternité, Cerf, Paris 1960, P. 253

Attendere… incantevole

21 Dicembre T.A.

L’incontro pre-natale tra il Signore Gesù e Giovanni il Precursore, scosso da un fremito di <gioia> (Lc 1, 44), è per noi una sorta di esempio per comprendere che cosa il Natale del Signore richieda a ciascuno di noi. Anche a noi è chiesto di precorrere come Giovanni e di correre sempre come Maria la quale <andò in fretta verso la regione montuosa> (1, 39). Le due letture possibili che la Liturgia ci offre, per preparare il cuore all’accoglienza del Vangelo della Visitazione, ci rimandano a due atteggiamenti irrinunciabili per poter accogliere il Verbo nella nostra vita, fino a fare della nostra intera vita un luogo attraverso cui il Cristo ancora oggi possa visitare, sponsalmente e gioiosamente, la nostra umanità. Nel Cantico viene messo in evidenza il desiderio di Dio verso di noi che diventa in noi desiderio di Lui che non ammette né attese, né ritardi: <vieni, presto!> (Ct 2, 10). È proprio dell’amore non sopportare dilazione. Dal profeta Sofonia ci viene ricordato, così magnificamente, quanto ogni nostra apertura all’accoglienza di Dio è remotamente preparata dal suo essere già in mezzo a noi con il suo amore e la sua dedizione: <Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia> (Sof 3, 17). 

L’insieme di queste pennellate bibliche ci restituisce l’immagine di un Dio che ama e che attende di essere amato con quell’eros che sempre precorre e accompagna l’agape. L’abbraccio tra Maria ed Elisabetta è segno di un abbraccio più grande, più fontale che è quello della nostra umanità abbracciata e immensamente baciata dall’amore di Dio che trasforma ogni inverno in primavera precorritrice di fecondissima estate. Le parole del Cantico: <il tuo viso è incantevole> (Ct 2, 14) possono aiutarci a comprendere e ad amare il nostro attendere come qualcosa di veramente incantevole di cui si fa memoria evocatrice l’incantesimo con cui circondiamo i nostri incontri in questi giorni in cui l’abbraccio augurale può diventare un’epifania di speranza e di gioia in un mondo maggiormente segnato da un amore pieno di tenerezze e di passione.

L’incarnazione del Verbo, portato in grembo dalla sua giovane madre, non è che l’esaltazione di tutto ciò che di più umano c’è dentro di noi e ci può essere tra di noi. Nulla di più lontano dalla verità è l’immagine di Dio immobile e insensibile. Al contrario, Dio si rivela in Gesù Cristo sempre in cammino verso la nostra umanità, anche quando questo esige un viaggio in salita, che corrisponde alla sua discesa umile e mite verso la nostra realtà. Il profeta non esita a dire: <Ti rinnoverà con il suo amore> (Sof 3, 17)! È questo un modo per accogliere e donare il mistero dell’incarnazione come l’occasione di un rinnovamento dell’amore che si fa <voce> (Lc 1, 42), che si fa emozione. Preparare l’accoglienza del Verbo come nostro fratello, nostro amico, nostro sposo significa attivare la propria disponibilità spicciola e quotidiana a incontrare e a lasciarsi incontrare… perché la gioia possa esistere.

Attendere… per

III settimana T.A.

Nella nuova traduzione della nostra Chiesa italiana troviamo una sfumatura capace di illuminarci ulteriormente sul mistero dell’Incarnazione del Verbo e della sua accoglienza nella vita più intima di Maria: <Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola> (Lc 20, 37). Ritroviamo lo stesso linguaggio nel dialogo tra il Signore Dio e il re Acaz: <Chiedi per te un segno dal Signore tuo Dio> (Is 7, 10). Tra Acaz e Maria la differenza è assai forte ed evidente, poiché mentre la madre del Signore accetta di essere disturbata dall’appello e dalla presenza di Dio nel più intimo della sua vita, il re non si lascia per nulla interpellare né tantomeno convertire dalla disponibilità del Signore a farsi ancora soccorritore e salvatore del suo popolo minacciato dall’ennesima conquista dei popoli pagani, in questo caso l’Assiria.

Acaz ha deciso di fidarsi degli Assiri scendendo a compromesso con loro fino a sacrificare uno dei suoi figli su uno dei loro altari, e la sua risposta apparentemente così devota, non è altro che un modo per lasciare completamente fuori dalla sua vita la presenza e l’opera del Signore che, dal canto suo, non si arrende e ugualmente promette: <la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele> (7, 14). A Maria viene annunciata la nascita di un figlio e rivelato che il suo nome sarà <Gesù> (Lc 1, 36) che significa salvezza, a condizione di una reale accoglienza da parte di questa donna cui è chiesto di fare spazio ad una presenza che non lascia nulla come prima e disturba i progetti per aprire nuovi e impensati scenari. La risposta finale di Maria all’angelo ci fa percepire come questa giovane donna sia stata capace di comprendere e di amare il fatto che questo passaggio così potente di Dio nella sua vita, se è vero che ne cambia il corso e ne muta radicalmente il percorso, è comunque e aldilà di ogni immaginazione e desiderio qualcosa per la sua vita e per la vita di tutti. Dio vuole operare in noi certo, attraverso di noi indubbiamente, ma sempre e soprattutto per noi!

Bernardo di Chiaravalle si fa interprete sottile dei sentimenti di Maria: <Questa Parola non sia soltanto percepibile ai miei orecchi, ma pure visibile ai miei occhi, palpabile alle mie mani, e che io possa portarla fra le braccia. Che non sia questa, una parola scritta e muta, ma la Parola incarnata e viva; non questi segni incerti tracciati su una pergamena essiccata, ma una Parola a forma umana, impressa nelle mie viscere…>1. Quale mistero di solitudine attraversa la vita della giovane Maria, mentre l’angelo la restituisce a se stessa dopo che il loro dialogo l’ha strappata a se stessa per renderla totalmente e definitivamente di Dio, per Dio!


1. BERNARDO DI CHIARAVALLE, Omelie in lode della Vergine Madre, 4,11.

Attendere… tacere

III settimana T.A.

L’angelo Gabriele lo ha deciso, Zaccaria deve tacere: <Ed ecco, tu sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole che si compiranno a loro tempo> (Lc 1, 20). Non bisogna ritenere questa ingiunzione angelica come una punizione inflitta ad un vecchio troppo curioso. In realtà, si tratta di un uomo che è invecchiato vedendo sfumare la sua più segreta e legittima aspirazione di avere un figlio che fosse, se non il suo orgoglio e suo erede nel servizio sacerdotale, almeno la consolazione di una sposa rattristata di non essere madre. Il tacere di Zaccaria è un modo con cui Dio lo libera dal suo modo abituale e meccanico di funzionare – quasi la stortura professionale del suo servizio sacerdotale – per aprirsi così all’inaudito di Dio che esige un ascolto lungo, profondo, grave come il seme che deve sprofondare disperatamente nella terra per ritrovarvi la speranza proprio nel crogiolo della morte.

Così Zaccaria potrà diventare più attento fino ad avvertire il mormorio potentemente leggero dello Spirito che agisce nella sua vita, nella vita del suo amore diminuito dalla sterilità che si rivelerà infine non un impoverimento ma quasi un incremento di profondità necessario a far fiorire la grazia il cui nome è Giovanni. Con la sua consueta altezza poetica, Efrem così canta: <Poiché ha disprezzato la parola dell’angelo, questa parola lo ha tormentato, affinché egli onorasse con il suo silenzio la parola che aveva disprezzato. Era giusto che diventasse muta la bocca che aveva detto: “Come avverrà questo?”, perché apprendesse la possibilità del miracolo. La lingua che era sciolta è stata legata perché imparasse che Colui che aveva legato la lingua poteva sciogliere il seno. In tal modo, quindi, l’esperienza ha insegnato a colui che non aveva accettato l’insegnamento della fede. Egli ha appreso così che Colui che aveva chiuso una bocca aperta poteva aprire un seno chiuso>1.

Il silenzio è il grembo di Zaccaria. Se la donna si accorge di attendere un figlio quando si arresta il flusso del sangue, per un uomo è importante che si interrompa il flusso della parola che lo rende potente, creatore, ordinatore. Nove mesi di pazienza, di prova, di speranza: il tempo per generare e per divenire padre fecondato dal seme del divino silenzio da cui ogni cosa prende vita. Sarà stato lo stesso cammino vissuto da <un uomo di Sorèa> la cui <moglie era sterile> (Gdc 13, 2) e a cui un angelo annuncia la nascita di Sansone. L’uomo la cui forza dovrà diminuire fino al più terribile silenzio nell’umiliazione della schiavitù per far risplendere la grazia che viene dalla debolezza assunta. Le due coppie sterili, su cui la liturgia ci fa meditare, ben rappresentano la nostra umanità spesso situata su un difficile crinale: tra gioia e dolore, speranza e angoscia, attesa e rassegnazione. Non nascondiamoci le nostre domande più profonde, quelle più dolorose che mettono persino in crisi la qualità della nostra fede. È al cuore del nostro disagio che un annuncio potrà veramente scuoterci fino ad ammutolirci.


1. EFREM SIRO, Diatessaron, 1, 13.

Attendere… tranquillo

III settimana T.A.

Ciò che il profeta Geremia profetizza pensando agli effetti sul popolo dell’avvento del Messia, può ben diventare non solo l’oggetto amato della nostra attesa, ma ancor più intimamente l’attitudine del cuore davanti ad ogni desiderio e ad ogni suo compimento: <Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele vivrà tranquillo> (Gr 23, 6). Mentre Giuseppe vive tutto il suo dramma davanti a ciò che ha indubitabilmente attraversato come una folgore la vita della sua <promessa sposa> (Mt 1, 18) trovandosi alla difficilissima scelta di incarnare con scelte personali e uniche la <giustizia> dei padri, il Verbo se ne sta profondamente <tranquillo> nel fondo della barca del seno della sua giovane madre, già come Giona nel fondo della nave e nelle viscere della balena. Più volte nella sua vita ritroveremo il Signore Gesù in questo atteggiamento di tranquillo abbandono mentre attorno a sé – pensiamo ancora alla barca dei suoi discepoli sballottata dalla tempesta – ed è proprio questa sua serenità inviolabile che permette al dramma della nostra libertà di giocarsi fino a risolversi.

Il <germoglio giusto> (Gr 23, 5) di cui parla Geremia è affidato alla mano delicata e decisiva di Giuseppe che era <un uomo giusto> (Mt 1, 19). Essere giusto per Giuseppe non è né facile da capire né facile da vivere, ma risulta chiaro che per Giuseppe – come sempre lo sarà per il suo figlio Gesù quando incontrerà il mistero unico e sempre rispettabile di ogni persona che incontrerà sul suo cammino – non c’è una giustizia che sia una fedeltà semplici e unidirezionale, ma si tratta sempre di vivere in una doppia fedeltà – a Dio e all’uomo – che è l’unico modo per essere veramente giusti con se stessi e fedeli a <ciò che il cuore gitta dentro>, come poeterebbe Dante. Certo rileggendo ancora una volta questi testi fondativi della nostra esperienza di fede possiamo rimanere così ammirati di Giuseppe, di Maria, di Gesù… da non essere in realtà toccati e interpellati da ciò che se è avvenuto sempre avviene e può inverarsi persino nella nostra vita, come in quella del nostro vicino.

Come immaginare il giusto Giuseppe e l’amata Maria davanti a questo mistero di presenza inatteso e, sicuramente, indesiderato almeno per rispetto a Dio e pietà verso se stessi. Eppure, Dio passa nella vita… l’amore ci disturba… l’inaccessibile si realizza proprio dentro le pieghe più nascoste e intime della nostra vita. E ogni volta che questo avviene – e avviene molto più di quanto immaginiamo e desideriamo – si tratta di rivivere ciò che il popolo ha attraversato gioiosamente e penosamente quando è stato <fatto uscire dalla terra d’Egitto!> (Gr 23, 7). Anche noi possiamo ritrovarci personalmente e essere chiamati a prendere atto che nella vita di una persona che amiamo si trovi qualcosa di assolutamente nuovo <che viene dallo Spirito Santo> (Mt 1, 20) e che per manifestarsi ha bisogno della nostra cura e della nostra accoglienza perché salvato possa salvare. La vita di Dio e i suoi passaggi ci sorprendono, ci turbano, ci cambiano, ci rimettono in strada e talora ci mettono sulla strada… eppure quanta cura esige un <germoglio> perché possa divenire albero? E la prima cura è di essere lasciato <tranquillo> per poter crescere in pace!

Attendere… generare

III settimana T.A.

La <genealogia di Gesù Cristo> (Mt 1, 1) è il nostro album di famiglia, in cui foto sempre più antiche e misteriosamente sconosciute si alternano ad altre di cui conosciamo invece più chiaramente i contorni. Contrariamente a ciò cui siamo abituati le foto che corrisponderebbero ai nomi più antichi e remoti sono quelle più familiari, mentre dopo la <deportazione in Babilonia> (1, 12) tutto diventa più sfumato e incerto. Eppure, l’invito del patriarca ancora risuona in questo inizio dell’immediata preparazione al Natale del Signore: <Radunatevi e ascoltate, figli di Giacobbe, ascoltate Israele, vostro padre!> (Gn 49, 2). Mentre prepariamo il presepio in cui deporre il bambino in cui riconosciamo <Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo> (Mt 1, 1) non possiamo fare a meno di ripensare a tutta la storia di Israele che ne ha preparato la venuta nella nostra carne, ma non possiamo dimenticare di riflettere sulla nostra propria storia.

Come nella genealogia possiamo riscontare una sorta di indebolimento di forza e di onore tanto che la storia di Israele diventa sempre più oscura ed umbratile a forza di tradimenti e di compromessi, così pure anche nelle nostre piccole storie la grandezza delle persone più lontane nel tempo – dovuta in parte anche alla loro lontananza – mette ancora più in evidenza le debolezze e le fragilità di quanto abbiamo conosciuto circa la vita degli altri e, naturalmente, di noi stessi. Eppure, pare che l’incarnazione si avvicini sempre di più nella misura in cui, sembra, che le ombre diventino più pesanti e gli interrogativi più brucianti. L’annuncio di gioia e di salvezza sta proprio nella presa di coscienza che non è la nostra onorabilità ad averci meritato di accogliere tra le braccia della nostra umanità ferita il Verbo di Dio, ma è la sua amabile e serena venuta in mezzo a noi a restituire onore e fierezza alla nostra umanità.

Come annota Pascal: <Egli è rimasto nascosto, sotto il velo della natura che lo copriva ai nostri sguardi, fino all’Incarnazione; e quando giunse il momento in cui si dovette mostrare, si è nascosto più ancora, coprendosi dell’umanità. Era, infatti, più riconoscibile quando era invisibile che al momento in cui si è reso visibile>1. Un nuovo cammino nella fede si apre per noi e per chiunque si lasci toccare e interrogare dalla venuta del Verbo nella nostra carne per rivelarci l’invisibile e amabilissimo volto del Padre. Il passaggio cruciale della storia è significato dal cambiamento di modo verbale: dopo che per 39 volte si fa riferimento al <generò> di uomini più o meno noti e più o meno pii, nel momento in cui si parla di Giuseppe, il padre di Gesù, non si dice che lo generò ma che egli è <lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù> (Mt 1, 16). Al 40° anello delle generazioni si passa dall’attivo al passivo: <Così fu generato Gesù Cristo…> (1, 18). Entriamo in questo tempo d’immediata preparazione al Natale chiedendoci in che misura la nostra vita è illuminata e cambiata dalla conoscenza del mistero di Cristo tanto da accettare di deporre serenamente e felicemente <lo scettro> e il <bastone> (Gn 49, 10).


1. B. PASCAL, Opusculi (lettera a Sig.na de Roannez, ottobre 1656)