Il tuo nome è Cristo, alleluia!
IV settimana di Pasqua –
Vi è una punta di disperazione nella domanda posta dai Giudei che sembrano assieparsi attorno al Signore Gesù, quasi nella speranza di essere da lui liberati da una sorta di angoscia che abita il loro cuore: <Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente> (Gv 10, 24). La risposta a questa domanda dei Giudei, che rappresenta per loro un’ulteriore sfida e un di più di angoscia, possiamo trovarla nella solenne e sempre commovente conclusione della prima lettura: <Ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani> (At 11, 26). Le parole del salmo responsoriale suonano come un applauso: <Il Signore registrerà nel libro dei popoli: “Là costui è nato”. E danzando canteranno: “Sono in te tutte le mie sorgenti”> (Sal 86, 6-7). I Giudei, e spesso anche noi, vorremmo ricevere dal Signore Gesù una rassicurazione per essere finalmente liberati dall’angoscia di dover assumere il rischio di una relazione che ci porta un po’ più lontano dei nostri preconcetti e delle nostre aspettative.
Di fatto la risposta non è una parola di identificazione chiara e netta, ma è l’evocazione di una relazione profonda: <Ve l’ho detto, e non credete> (Gv 10, 25). Il Signore Gesù non si accontenta, per così dire, di rilevare l’incredulità e la chiusura dei Giudei, ma ne dà pure la spiegazione più profonda e più vera: <Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore> (10, 26). A questa constatazione subito viene aggiunta anche una dichiarazione ancora più fondamentale e solenne: <Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola> (10, 29-30). Così, riconoscere in Gesù il Cristo atteso e promesso, fa tutt’uno con il diventare <cristiani>. Del resto per il Signore Gesù la cosa più importante da rivelare e da comunicare è, appunto, questa meravigliosa attenzione del Padre che, dal Figlio, passa direttamente e naturalmente a noi.
Al modo di sentire e di ragionare dei Giudei, secondo definizioni dogmatiche, corrisponde il modo di sentire e di rivelare del Signore Gesù che è sempre un modo in cui ciò che fa la differenza è la comunione e lo scambio personale. Sì, Gesù è il Cristo e lo è proprio perché la sua unzione messianica è pienamente partecipata a coloro che accettano e amano far parte del numero di quelle <pecore> che riconoscono e ascoltano la sua <voce> (10, 27) in una reciprocità assoluta e sponsale (cfr. Gv 3). Al cuore di questo scambio amoroso ci siamo noi, proprio noi! Perché sembra che tra il Padre e il Figlio ci sia il perenne scambio di quei doni che siamo noi, perché avvertiti come la cosa più bella e più preziosa che il Padre può dare al Figlio e che il Figlio può ridonare al Padre. Per questo ci viene promesso tutto: <Io do loro la vita eterna> (10, 28) che non è altro che entrare in questo mistero di conoscenza (Gv 17) e di amore il cui flusso non si arresta mai. Anzi, al contrario, ricrea continuamente energia e forza tanto da poter dire a nostra volta e in modo assolutamente personale: “Io e il Cristo siamo una cosa sola”. Questo significa essere degni di portare il nome di <cristiani>! Queste parole sono pronunciate a Gerusalemme nella cornice della <festa delle Dedicazione> (Gv 10, 22) durante <l’inverno> quando le giornate sono brevissime e per otto giorni i cortili del tempio erano – allora – uno scintillio di lampade e di torce. In questo contesto ecco che la parola del Signore Gesù è una luce che fa rabbrividire tutte le altre. Tagore direbbe che: <La morte non estinguerà la luce, ma semplicemente spegnerà la lampada perché è arrivata l’alba>.