Il tuo nome è Vittoria, alleluia!

II Domenica di Pasqua

La parola dell’apostolo Giovanni dà un nome al Risorto che, con gioia, accogliamo in mezzo a noi raccolti, ancora una volta, attorno alla mensa della parola e del pane. Questo nome è “Vittoria” (1Gv 5, 4). Questo nome è indissolubilmente legato alla <nostra fede> nella <risurrezione del Signore Gesù> (At 4, 33). Nella Chiesa di tempi antichi e nelle giovani Chiese dei nostri giorni, in questa domenica dell’Ottava di Pasqua, i neofiti deponevano le vesti bianche – albe – con cui erano stati rivestiti durante la notte di Pasqua risalendo dal Battistero. Interiormente ciascuno di noi è chiamato a riappropriarsi di questo gesto: deporre la veste bianca dopo essersene rivestiti interiormente ed efficacemente. In tal modo ciascuno <vince> nel proprio cuore ogni tenebra e ogni passione disordinata per la vittoria pasquale di Cristo di cui siamo stati resi partecipi attraverso il nostro Battesimo. Ogni anno si fa compagno di questo gesto dei neofiti la figura dell’apostolo Tommaso che ci riporta alla consapevolezza che la vittoria di Cristo non si può attuare nella nostra vita senza che noi lo lasciamo vincere su ogni nostra resistenza a autoreferenzialità. Il Signore Gesù vince non confondendo ma guarendo. 

Il <dito> (Gv 20, 27) che Tommaso mette nel costato di Cristo Risorto – alla fine – non è più una verifica, ma è un’opportunità. Tutto ciò avviene per noi, perché il Signore possa – invisibilmente ma efficacemente – passare il suo dito sulle piaghe del nostro cuore per trasformarle in pieghe in cui si nasconde il profumo di un segreto inviolabile: <chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato> (1Gv 5, 1). In un suo Sermone, Agostino interpreta il mistero di questi <Otto giorni dopo> (Gv 20, 26) in relazione al tempo che la tradizione ebraica prevede per la circoncisione e dice rivolgendosi ai neofiti <piccolissimi nel Cristo> che <oggi viene portato a compimento in voi il sigillo della fede>. Come per il bambino è necessario che passino <otto giorni> (Gn 21, 4) prima che il coltello recida il prepuzio per farne un figlio dell’Alleanza, così pure per il gruppo degli apostoli si rende necessario un tempo adeguato perché tutti – e quindi tutto – si apra alla vittoria pasquale di Cristo Signore su ogni forma di incredulità e su ogni mancanza di fede.

Il Signore ci dà tempo e vince nella nostra vita accettando di ritornare ogni <otto giorni> per permetterci di crescere nella fede in lui e nella comunione tra di noi. Infatti, secondo la liturgia, il segno della vittoria pasquale di Cristo si manifesta al mondo attraverso il segno di una comunione crescente e concreta: <La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune> (At 4, 32). Ogni volta che partecipiamo all’Eucaristia nel Giorno del Signore si rinnova per noi la sfida della vittoria di Cristo che circoncide in noi ogni forma di egoismo e di ripiegamento. 

Ton nom est Victoire, alleluia !

II Dimanche de Pâques 

La parole de l’apôtre Jean donne un nom au Ressuscité  que nous accueillons avec joie au milieu de nous, réunis, encore une fois, autour du partage de la parole et du pain. Ce nom est ” Victoire ” ( 1 Jn 5,4 ). Ce nom est indissolublement lié à ” notre foi” en la ” résurrection du Seigneur Jésus ” ( Ac 4, 33 ). Dans l’Eglise des temps anciens et dans les jeunes Eglises de nos jours, en ce dimanche de l’Octave de Pâques, les néophytes déposaient les vêtements blancs – des aubes  – qu’ils avaient revêtues durant la nuit de Pâques en remontant du Baptistère. Intérieurement, chacun de nous est appelé à se réapproprier ce geste : déposer le vêtement blanc après s’en être revêtu intérieurement et efficacement. De cette façon, chacun ” est vainqueur” dans son coeur de chaque ténèbres et de chaque passion désordonnée par la victoire pascale du Christ à laquelle nous avons participé par notre Baptême. Chaque année, l’image de l’apôtre Thomas est liée à ce geste des néophytes, car elle nous fait prendre conscience que la victoire du Christ ne peut pas s’actualiser dans notre vie sans que nous le laissions vaincre chaque résistance par l’autoréférence. Le Seigneur Jésus est vainqueur, non en troublant, mais en guérissant.

Le ” doigt ” ( Jn 20, 27 ) que Thomas met dans la côte du Christ Ressuscité – à la fin – n’est plus une vérification, mais une opportunité. Tout cela arrive pour nous, pour que le Seigneur puisse – invisiblement, mais efficacement – passer son doigt sur les plaies de notre coeur pour les transformer en plis où se cache le parfum d’un secret inviolable ” quiconque aime celui qui l’a généré, aime aussi celui qui a été généré par lui ” ( 1 Jn 5, 1 ). Dans l’un de ses Sermons, Augustin interprète le mystère de ces ” Huit jours après ” ( Jn 20, 26 ) en relation avec le temps que la tradition hébraïque prévoit pour la circoncision et dit en s’adressant aux néophytes ” vous les tout-petits en Christ ” qui ” aujourd’hui portez en vous l’accomplissement du sceau de la foi “. Tout comme pour l’enfant, il est nécessaire que se passent ” huit jours ” ( Jn 21, 4 ), avant que le couteau n’enlève le prépuce, pour qu’il devienne un fils de l’Alliance, de même, un temps adéquat est nécessaire pour le groupe des apôtres afin que tous – et donc tout – s’ouvre à la victoire pascale du Christ Seigneur  toute forme d’incrédulité et tout manquement de foi.

Le Seigneur nous donne du temps et est vainqueur dans notre vie en acceptant de revenir chaque ” huit jours” pour nous permettre de croître dans la foi en lui et dans la communion entre nous. En fait, selon la liturgie, le signe de la victoire pascale du Christ se manifeste au monde par le signe d’une communion croissante et concrète : ” la multitude de ceux qui étaient devenus croyants avait un seul coeur et une seule âme et personne ne se considérait comme propriétaire de ce qui leur appartenait, mais tout était commun entre eux ” ( Ac 4, 32 ). Chaque fois que nous participons à l’Eucharistie le Jour du Seigneur, le défi de la victoire du Christ se renouvelle pour nous en circoncisant en nous toute forme d’égoïsme et de repliement.

Il tuo nome è Mattino, alleluia!

Sabato di Pasqua

Portiamo quasi a compimento i giorni di questa ottava di Pasqua in cui siamo stati accompagnati dalla lettura delle apparizioni del Risorto e, prima di ritrovarci nella liturgia di domani in compagnia dell’apostolo Tommaso, ci ritroviamo <al mattino, il primo giorno dopo il sabato>, quando <Gesù apparve prima a Maria di Magdala> (Mc 16, 9). Solo <Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore> (16, 14). La pericope è tratta dal primo, tra i quattro vangeli, ad essere stato messo per iscritto e che, ormai, gli esegeti contemporanei ritengono concordemente un’aggiunta posteriore al testo primitivo1. In questo versetto abbiamo una nota importante: il rimprovero di Gesù ai suoi discepoli per la loro <durezza di cuore> e per non aver creduto a quanti <lo avevano visto risorto>. Alla vigilia della contemplazione del dito di Tommaso che si affonda nel costato di Cristo Risorto, sembra che il dito sia messo direttamente nella piaga della nostra durezza di cuore o, come direbbero i Padri della tradizione greca, della sclerocardia. Se questa è la diagnosi – appunto la durezza del cuore – allora potremmo dire che l’invito è quello di aprirci al mistero della risurrezione come tentativo di cura, perché il nostro cuore, piuttosto che indurirsi, possa addolcirsi.

Il testo della prima lettura ci aiuta a cogliere nel, cuore dei discepoli, come, la risurrezione accolta con una certa fatica, abbia comunque permesso agli apostoli di fare un cammino interiore che ha saputo trasformare la loro incredulità in fede autentica tanto che <li riconoscevano come quelli che erano stati con Gesù> (At 4, 13). La durezza di cuore rimproverata da Gesù ai suoi Undici discepoli, che portano chiara la ferita nel numero zoppicante dovuta al tradimento di uno dei Dodici, è l’incredulità che, gradualmente, si apre ad una fede che si fa testimonianza, una testimonianza capace di opporsi a tutto ciò che rischia di spegnere la speranza fino a protestare, mettendo a rischio la propria vita: <Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato> (At 4, 20).

Il credere o non credere è il dramma di tutti perché, ben aldilà dei dogmi e dei riti, significa accogliere o non accogliere il dono e la grave responsabilità di essere dei viventi che non viaggiano da soli, ma in carovana, e non fanno ascensioni in solitaria, bensì in cordata. Il ritmo del testo di Marco sembra contestualizzare il mistero della risurrezione in una sorta di cerchio che si allarga continuamente: Maria prima, e <due di loro, mentre erano in cammino verso la campagna>, dopo. Infine il Risorto appare agli Undici e chiede loro di aprire il cuore ad una condivisione assoluta: <Andate in tutto il mondo e proclamante il Vangelo a ogni creatura> (Mc 16, 15). Potremmo dire che ogni mattino può diventare l’aurora del giorno di Pasqua, giorno in cui riceviamo e condividiamo il dono di un cuore nuovo che intona, ad ogni alba, il canto nuovo della speranza e della gioia.


1. Cfr B. STANDAERT, Marco. Vangelo di una notte, vangelo per la vita, Dehoniane, Bologna 2011, p. 895.

Il tuo nome è Appena, alleluia!

Venerdì di Pasqua

L’amore si gioca non solo attraverso contenuti di parole e di gesti, ma, per sua natura, ha anche un ritmo che gli è proprio il quale, talora, impone una tempistica inimmaginata: <Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito e si gettò in mare> (Gv 21, 7). Pietro Crisologo si lancia in uno stupendo commento di questo attimo infuocato in cui Simon Pietro sembra ritrovare l’amore perduto, lanciandosi verso il suo Signore. A noi che abbiamo condiviso l’amarezza del suo tradimento e ci siamo uniti alle sue lacrime di pentimento, questo tuffo sembra quasi un modo per evitare di essere di nuovo superato dal discepolo amato, la cui intuizione su Gesù rimane incandescente ed unica. Così commenta il Vescovo di Ravenna: <Il discepolo che Gesù amava dice a Pietro: “E’ il Signore!” Chi ama vede per primo; l’amore ha su ogni cosa uno sguardo più acuto; chi ama sente sempre con più immediatezza. Quale difficoltà rende lo spirito di Pietro così lento e gli impedisce di riconoscere Gesù per primo, come aveva già fatto? Dov’è quella particolare testimonianza che gli aveva fatto esclamare: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16)? Dov’è? Pietro era entrato da Caifa, il gran sacerdote, dove aveva ascoltato senza problema il bisbigliare di una serva, ma tarda a riconoscere il suo Signore. “Appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi il camiciotto, poiché era spogliato” Che strano, fratelli! Pietro sale senza vesti sulla barca e si getta vestito nel mare! Il colpevole si vela sempre per nascondersi. Così, come Adamo, oggi Pietro desidera nascondere la sua nudità dopo la colpa; entrambi, prima di peccare, erano vestiti di una nudità santa. “Si cinse ai fianchi il camiciotto e si gettò in mare”. Sperava che il mare avrebbe lavato la sua veste resa sporca dal tradimento. Si è gettato in mare poiché voleva tornare ad essere il primo, lui a cui erano state affidate le più grandi responsabilità (Mt 16,18ss). Si è cinto del camiciotto, poiché doveva cingersi del combattimento del martire, secondo le parole del Signore: “Un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi” (Gv 21,18). Gli altri vengono con la barca, trascinando la rete piena di pesci. Con molta fatica portano la Chiesa esposta ai venti del mondo. È lei che questi uomini portano nella rete del Vangelo verso la luce del cielo e che strappano all’abisso per condurla al Signore>1.

Quando, con un coraggio così inaudito, da essere assolutamente imprevedibile, in un uomo tremante di paura alle parole di una serva, Pietro nella forza del dono dello Spirito appena ricevuto proclama che Gesù <è la pietra che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo>, parla di ciò che ha sperimentato in prima persona. Se professa con forza ammirabile che <In nessun altro c’è salvezza> (At 4, 11-12) è perché, in prima persona, ha fatto l’esperienza di essere talmente salvato e guarito da gettarsi in <mare> sapendo di essere ormai più un pesce da pescare che un pescatore. 


1. PIER CRISOLOGO, Discorsi, 78.

Il tuo nome è Narrazione, alleluia!

Giovedì di Pasqua

La strada che, così tristemente, da Gerusalemme portava ad Emmaus inverte il suo corso e riporta i discepoli – gioiosamente – dalla casa al Cenacolo, accomunati ormai dal medesimo gesto che si fa segno: la frazione del pane. Luca annota con una certa allegrezza come i due discepoli a cui, per primi, il Signore Risorto si manifesta, <narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane> (Lc 24, 35). Secondo il vangelo di Luca assistiamo qui alla seconda testimonianza della risurrezione. La prima era stata quella delle donne, che, in realtà, non avevano incontrato il Risorto, ma avevano fatto, a loro volta, la narrazione di ciò che era avvenuto al sepolcro, come dell’annuncio ricevuto da <due uomini>. Ora sono due discepoli a fare la narrazione del loro incontro con il Maestro e di come lo <avevano riconosciuto nello spezzare il pane>. Non passerà molto tempo e sarà lo stesso Signore a presentarsi nel Cenacolo, ancora sbarrato dalla paura, e a porre la domanda: <Avete qui qualche cosa da mangiare?> (24, 41).

A partire da questi testi potremmo ardire di pensare che, la nostra avventura discepolare di testimoni del Risorto, passa proprio attraverso la nostra capacità o meno di rispondere a questa domanda del Risorto stesso: saremo noi capaci di nutrire Colui che per noi ha dato la sua vita? Ciò che sembra portare a compimento e a pienezza il mistero della risurrezione è proprio il gesto di cui i discepoli si rivelano capaci alla fine: <Gli offrirono una porzione di pesce arrostito> e <egli lo prese e lo mangiò davanti a loro> (24, 42). Ora tocca a noi! Come discepoli siamo chiamati a rendere possibile attraverso il tempo intermedio tra la risurrezione di Cristo ed il suo ritorno nella gloria, che ogni bisogno venga sfamato. Il Signore ci ha mostrato la via mettendosi in cammino sulla strada che porta ad Emmaus e rivelandosi capace di cambiare la tristezza in gioia. Ben prima di spezzare quel pane che lo rende riconoscibile, il Cristo ha spezzato per noi il pane di se stesso di cui ci parlerà a lungo – come avviene ogni anno – durante il tempo pasquale, quando rileggiamo – parola per parola – il capitolo sesto del Vangelo di Giovanni.

Come i due discepoli <narravano>, tanto da creare le condizioni necessarie perché il Risorto potesse rendersi presente in mezzo ai discepoli, così Pietro e Giovanni continuano a raccontare la potenza e la bellezza della risurrezione al <portico detto di Salomone> (At 3, 11). Nessuna narrazione è possibile senza che vi sia una storia, un’esperienza, un vissuto condiviso che diventa la base di nuovi sviluppi, di nuove esperienze e di più profonde e circostanziate condivisioni che permettono di far crescere il <vigore> (3, 26) del corpo e, soprattutto, dell’anima. È come se ogni giorno fosse, anche per noi, un’occasione rinnovata per dare consistenza al nostro essere <testimoni> (Lc 24, 48), soprattutto perché tutto ciò che abbiamo sperimentato come grazia e come gioia sia un dono che non rimane chiuso nel pugno del nostro egoismo, ma è ridonato a tutti con grande generosità.

Il tuo nome è Giorno, alleluia!

Mercoledì di Pasqua

L’evangelista Luca, nella prima lettura, ci parla di uno storpio che <ponevano ogni giorno presso la porta del tempio detta Bella> (At 3, 2). Lo stesso Luca ci racconta – solo lui – che <in quello stesso giorno> due discepoli <erano in cammino> (Lc 24, 13). Per Luca è questa la prima apparizione del Signore Gesù. Se facessimo un paragone con il quarto Vangelo, potremmo dire che questo camminare di Gesù in incognito, accanto a due suoi discepoli che ormai non si ritengono più tali e stanno ritornando alla vita di sempre, è analogo a quanto abbiamo contemplato ieri nel giardino con l’incontro tra il Risorto e Maria di Magdala. Ieri è bastata la ripetizione densa e amorosa del nome: <Maria>! Oggi vediamo che è necessario un po’ più di tempo e di calma per riattizzare il fuoco della discepolanza che sembra ormai totalmente spento nel cuore dei discepoli: <Si fermarono col volto triste…> (24, 17).

Il Signore Risorto non si lascia prendere nel vortice della tristezza, ma con calma e decisione riporta questi due discepoli smarriti alle ragioni del cuore che sembrano ormai inesorabilmente naufragate. Come spiega Michel de Certeau questo cammino avviene <lo stesso giorno>. Non è altri che <il giorno del Signore, giorno della fine e dell’inizio, giorno della risurrezione. Non si tratta di uno dei momenti della vita di Gesù evocati con la formula “in quei giorni”, ma si tratta di questo giorno unico cui tutti gli avvenimenti si riferiscono. Per questo ciò che avvenne in quel giorno è assolutamente vero per ogni giorno e si rinnova oggi>1. Pertanto, se questo è il messaggio di risurrezione che ci viene ridonato ancora una volta, vi è pure l’invito a non lasciare che la potenza della risurrezione passi invano accanto alla nostra vita.

Il Signore Risorto certo si accosta ai due discepoli tristi, intavola con loro un dialogo e permette loro di sfogare tutta la loro tristezza… eppure attende un invito che venga da parte loro: <Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto> (Lc 24, 29). Il testo evangelico continua così: <Egli entrò per rimanere con loro> ed è questo che cambia tutto. È questo entrare e rimanere di Cristo Signore che permette alla morte, da cui i discepoli sembrano essere terribilmente tramortiti, di trasformarsi in porta… anzi in <porta del tempio detta Bella> (At 3, 2). La vera porta è ormai il corpo stesso del Signore Gesù che, ancora una volta, dice tutta la sua realtà nel gesto inconfondibile e ardente di un pane spezzato e condiviso. È così che il tramonto si trasforma in alba e, quella morte che sembrava aver messo una pietra inamovibile sulla vita, si trasforma nel parto di un nuovo inizio. Anche per noi ogni giorno potrebbe diventare il grande giorno nella misura in cui non sottovaluteremo mai ciò che sentiamo ardere nel nostro cuore. E questo soprattutto quando la nostra mente continua a cercare di convincersi che ormai tutto è spento… che tutto è inesorabilmente finito.


1. M. de CERTEAU. Les pèlerins d’Emmaus, Christus, 13 (1957) p. 56.

Il tuo nome è Perdono, alleluia!

Martedì di Pasqua

Il legame tra le due letture di questo giorno di letizia pasquale è sottile ed intenso. Pietro, al mattino di Pentecoste, annuncia per tutti il dono del <perdono dei vostri peccati>, un annuncio che sembra fare tutt’uno con quello <dello Spirito Santo> (At 2, 38). Alla luce di questo, possiamo rileggere il ritrovamento amoroso tra il Signore Risorto e Maria di Magdala come un’esperienza di perdono che si fa modello di come il perdono può toccare e far rinascere la nostra stessa vita di credenti. Il primo passo sembra essere quello di passare dall’<esterno, vicino al sepolcro> (Gv 20, 11) sempre più vicini al proprio cuore e alla propria interiorità. È all’altezza del cuore che gli occhi possono vedere, e lo fanno attraverso la percezione di una voce che permette di risituare ogni cosa e ricomprenderla profondamente. Finché Maria si guarda attorno e continua ad interrogare, in realtà non vede nulla se non ciò che pensa di dover vedere tanto da non riconoscere Gesù e scambiarlo per il giardiniere. Solo quando la presenza si fa parola e appello personale: <Maria!> (20, 16) allora tutto può finalmente cambiare e la corsa della vita e della speranza può riprendere.

Possiamo ben immaginare che, per Maria – il mattino di Pasqua – sentire pronunciare il suo nome nell’inconfondibile modo del Maestro, abbia avuto lo stesso effetto, persino più profondo, di ciò che avverrà al mattino di Pentecoste, davanti al Cenacolo, per la folla raccolta dal rombo dello Spirito Santo: <si sentirono trafiggere il cuore> (At 2, 37). Maria si sentì trafiggere il cuore con la spada della gioia che, talora, è ancora più tagliente di quella del dolore. Questo perché la gioia ci richiede di rimettere in moto la vita e di uscire dalle calde lane della rassegnazione: <ma va’ dai miei fratelli…andò ad annunciare…> (Gv 20, 17-18). Un Anonimo monaco si fa eco della lunga tradizione di meditazione di questo testo così ricco: <Angeli santi, eppure voi sapete bene chi ella piange e chi cerca. Perché rendere ancor più amare le sue lacrime rinnovando il ricordo di lui? Ma Maria può dar libero corso al suo dolore e al suo pianto, poiché le  si avvicina  la gioia di una consolazione insperata. “Si volge e vede Gesù in piedi, ma non lo riconosce”. Scena piena di dolcezza e bontà, dove colui che è desiderato e cercato si mostra e pure si nasconde. Si nasconde per essere cercato con più ardore, trovato con più gioia, trattenuto con più tenerezza, fino ad essere introdotto, per restarvi, nella dimora dell’amore (cfr Ct 3,4)>1.

Per arrivare pienamente a questo perdono Maria deve come attraversare delle soglie, delle tappe di purificazione: da fuori a dentro, dagli occhi all’udito, dal pensare di poter fare qualcosa per l’altro al riconoscere di avere bisogno di essere risollevati dalla tristezza e dalla morte. Fino a quando si piange e si ripiange, tanto da sentire l’assenza del cadavere una sventura ancora più grande della stessa morte, non potremo assumere occhi per la vita. Maria cercava di consolarsi con una cosa – la cura del cadavere dell’amato Maestro – e invece ritrova proprio Lui. In questo incontro si consuma l’atto più nuziale: il perdono per tutto ciò che in noi e attorno a noi dubita della vita.


1. Omelia monastica di un Anonimo del 13° secolo.

Il tuo nome è Là, alleluia!

Lunedì dell’Angelo

L’Orazione dopo la Comunione traccia il compito di questo tempo pasquale: <Diffondi nei nostri cuori, Signore, la grazia dei sacramenti pasquali, e poiché ci hai guidati nella via della salvezza, fa’ che rispondiamo pienamente al tuo dono>. Il giorno dopo Pasqua sembra, in realtà fare tutt’uno con lo stesso primo giorno della settimana. Si inaugura così una tensione difficile a tenere per cinquanta giorni, ma che pure è consegnata a ciascuno di noi come compito. Del resto, il <dono> è talmente grande ed è così profondo che abbiamo bisogno di molto tempo – di tutto il tempo – per riuscire a percepirne, fino in fondo, tutta la ricchezza e poterne, così, goderne pienamente. Potremmo dire che, all’indomani della Pasqua, la storia è segnata da questo rimettersi in moto che coincide col nostro lento e deciso cammino verso l’esperienza della Parusia, realtà che non solo attendiamo, ma che siamo chiamati anche a preparare anticipandola nell’amore. Così esordisce il Vangelo: <Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli> (Mt 28, 8).

È un’immagine che commuove quella delle donne che abbandonano, a velocità di cuore esultante, il sepolcro vuoto per raccontare quello che era successo. Il brano riportato da Matteo è dinamico, esprime cioè un’esultanza che si fa movimento. È pianto di liberazione che diviene abbraccio perché ci si ritrova nella dolcezza dell’Emmanuele, il Dio con noi, o meglio, il Dio di nuovo con noi! Corrono le donne. Si affrettano per raggiungere gli altri discepoli e spezzare la loro rassegnazione. Dietro a loro anche noi possiamo essere testimoni, non solo della vita e della crocifissione di Gesù, ma anche della sua Risurrezione. Il loro cuore, attraversato da gioia e paura, aveva intuito che era avvenuto qualcosa di meraviglioso: di fronte al sepolcro senza più il corpo di Gesù, ormai si respirava la vita trionfante sulla morte. Colui che era morto era tornato in vita. La promessa, quella che le donne e i discepoli avevano rimuginato quasi ossessivamente nelle ore delle tenebre, ancora più fitte di quelle della morte, si era forse compiuta. Il forse si fa certezza perché <Gesù venne loro incontro> (28, 9). La certezza della risurrezione diventa così la più grande responsabilità che può gravare sulle nostre spalle di umani perché non possiamo più credere che la morte sia l’ultima parola che come una pietra ci sovrasta fino a uccidere le nostre speranze.

Il primo segno di quanto la risurrezione non abbia niente in comune con la morte, è il fatto che invece di essere una semplice consolazione diventa subito una vera missione: <andate ad annunciare ai mie fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno> (28, 10). La vita non è nel “qui” delle nostre piccole o grandi tombe quotidiane, ma è sempre <là>: è nella forma del futuro. Così, la parola della Scrittura citata da Pietro per confermare la risurrezione di Cristo, diventa una parola che è posta pure sulla nostra vita e sulla vita di tutti… persino di tutto: <Tu non abbandonerai la mia vita negli inferi né permetterai che il tuo Santo subisca la corruzione> (At 2, 27). Il Vangelo, se ci rallegra con la memoria di un amore così fresco da essere ardente come per le donne, ci mette pura in guardia dal rischio di cedere alla corruzione di non voler assumere la <preoccupazione> (Mt 28, 14) di fare, di questo annuncio, il centro della vita e della storia, il punto di lancio che ci sospinge sempre più in là.

Il tuo nome è Intuizione, alleluia!

Domenica di Pasqua

Non sosteremo mai abbastanza sulla nota caratteristica del quarto vangelo per indicare gli indizi del grande evento della risurrezione: <e il sudario. che era stato sul suo capo, non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte> (Gv 20, 7). Su questo particolare i santi Padri come i moderni teologi hanno molto riflettuto dando diverse interpretazioni e, come nel caso di Agostino, arrivando persino a rinunciare a spiegare troppo il mistero di questo <sudario… piegato> in modo diverso da tutto il resto. Dopo Maria di Magdala, con Simon Pietro e il discepolo amato anche noi arrivando questa mattina al sepolcro ove dovrebbe giacere il corpo inerme del Signore Gesù, non possiamo che scandagliare tutti i minimi particolari. Sial il nostro modo per cercare di comprendere per intuire che cosa sia avvenuto e che cosa stia avvenendo attorno a noi e dentro di noi. Giovanni Crisostomo dice che se qualcuno avesse voluto trafugare il corpo del Signore – come sosterrà Maria parlando con il giardiniere – non avrebbe sprecato tempo nel ripiegare ordinatamente il sudario. Ma un altro Padre – Cirillo di Gerusalemme – è ancora più raffinato nel cogliere che questo sudario è <piegato> come se non avesse avuto nessun contatto con la morte poiché il corpo del Signore è <carne senza carne> anzi è <carne santa>. Potremmo dire che proprio nel momento della morte e della sepoltura il <Verbo si fece carne> (Gv 1, 14) e si fece <carne santa> per dare alla nostra carne e alla nostra umanità tutta la speranza della sua divinità. Così il sepolcro assume tutta la sua valenza di “monumentum/séma” in cui – sia in greco che in latino – troviamo la compresenza del legame alla morte che si fa testimonianza di qualcosa che la morte non può vincere e su cui non ha presa. Per questo la nostra non può che essere l’invocazione dei discepoli viandanti in cammino verso Emmaus: <Resta con noi, perché si fa sera>. 

TON NOM EST INTUITION, ALLELUIA !

DIMANCHE de PÂQUES 

Nous ne nous arrêterons jamais assez sur la note caractéristique du quatrième évangile pour indiquer les indices du grand évènement de la résurrection: ” et le suaire qui recouvrait sa tête n’était pas posé là avec les linges, mais il était plié dans un lieu à part ” ( Jn 20, 7 ). Sur cette particularité, les saints Pères ainsi que les théologiens modernes ont beaucoup réfléchi en donnant diverses interprétations et, comme dans le cas d’Augustin, ils sont même arrivés à renoncer à toute explication sur le mystère de ce ” suaire …plié ” de manière différente à tout le reste. Après Marie de Magdala, avec Simon Pierre et le disciple aimé, nous aussi, en arrivant ce matin au sépulcre où devait gésir le corps inerte du Seigneur Jésus, nous ne pouvons qu’analyser toutes les plus petites particularités. Que ce soit notre façon de chercher à comprendre pour deviner ce qui est arrivé et ce qui s’est passé autour de nous et en nous. Jean Chrysostome dit que si quelqu’un avait voulu emporter le corps du Seigneur – comme le supposera Marie en parlant avec le jardinier – il n’aurait pas perdu de temps à replier avec soin le suaire. Mais, un autre Père – Cyrille de Jérusalem – est encore plus raffiné en précisant que ce suaire a été ” plié” comme s’il n’avait eu aucun contact avec la mort, car le corps du Seigneur est ” chair sans chair”, il est ” chair sainte “. Nous pourrons dire que juste au moment de la mort et de la sépulture, le ” Verbe se fit chair ” ( Jn 1, 14 ) et se fit ” chair sainte ” pour donner à notre chair et à notre humanité toute espérance en sa divinité. Ainsi le sépulcre assume toute sa valeur de ” monumentum/séma ” où  – que ce soit en grec ou en latin – nous trouvons la co-présentation du lien à la mort qui se fait témoignage de quelque chose que la mort ne peut vaincre et sur qui elle n’a aucune prise. Pour cela, notre prière ne peut être que l’invocation des disciples voyageurs, en chemin vers Emmaüs : ” Reste avec nous, car le soir approche “.