Convertire… in alto

II Domenica T.Q.

L’apostolo Paolo, ci offre una chiave di lettura per comprendere il duplice mistero racchiuso nei due monti che la liturgia, in questa domenica, ci fa contemplare ad una certa distanza: <Chi sarà contro di noi?> (Rm 8, 31b). Eppure, non ci è certo difficile immaginare il dialogo interiore del nostro padre Abramo mentre armeggia con il <coltello per immolare suo figlio> (Gn 22, 10). Come può Dio arrivare ad essere così “contro” tutto ciò che abbiamo di più caro, di più atteso, di più sperato. Mentre leggiamo il testo della “legatura di Isacco”, che troviamo già in anticipo in quello che sarà il festoso torrente delle letture della Veglia Pasquale. Come commenta E. Kilian è proprio <come se il figlio fosse strappato membro a membro dal cuore del padre e questi debba abbandonare pezzo a pezzo la sua speranza>. Nello stesso senso, ci viene del tutto naturale immaginare lo sconcerto dei discepoli e degli amici del Signore Gesù davanti al silenzio assordante di un Dio che si rifugia nel <buio> (Mc 15, 33), mentre il suo Figlio ad alta voce invoca e supplica: <… perché mi hai abbandonato?> (15, 34). Per questo la liturgia di questa seconda domenica di quaresima – come ogni anno – ci fa salire <su un alto monte, in disparte> (Mc 9, 2). In questo luogo siamo chiamati a preparare il nostro cuore e purificare il nostro sguardo.

Solo così potremo sopportare lo spettacolo della croce fino a sapervi leggere la manifestazione piena dell’amore e non la vittoria completa della violenza e dell’odio. La stessa tradizione ebraica dice sorprendentemente che <Isacco porta la sua croce> (Genesi: Rabbah, 56). Quello di Isacco sul <monte Moria> (Gn 22, 2) non è il racconto di un sacrificio mancato, ma il racconto di un sacrificio compiuto: il sacrificio del sacrificio! Abbiamo davanti a noi un figlio – come ogni figlio – che è minacciato di essere sacrificato ai desideri e alle immaginazioni di un padre. Per contrasto ci viene rivelato il modo in cui Dio sventa questa minaccia a vantaggio di tutti per evitare che qualcuno, guardando un padre sacrificare il proprio figlio, si faccia l’idea che Dio sia abitato da quella violenza che, invece, spesso abita il nostro cuore e anima nostri gesti.

Il <buio> (Mc 15, 33) che avvolge il Calvario è temperato dall’<ombra> (9, 7) che dà sollievo allo sguardo dei discepoli, vinto dallo splendore delle vesti splendide e <bianchissime> (9, 3) del Signore <trasfigurato davanti a loro>. Ciò che dà senso alla luce come al buio, allo splendore come all’ombra è la voce del Padre: <Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!> (9, 7). Colui che si dice capace di amare non può essere il Dio che vuole sacrifici ma amore, a tal punto che, in Gesù suo figlio, il Padre si rivelerà come colui che si sacrifica per non aver accettato di sacrificare nessuno, nemmeno <Barabba> (15, 7). Anche a noi è chiesto <di non raccontare> (9, 9) ma di vivere più conformi al nostro Signore e Maestro che <è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi!> (Rm, 8, 34).

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