Convertire… la morte

V settimana T.Q.  –

La Passione del Signore Gesù si avvicina ed egli non ha per nulla paura di parlare in modo diretto e chiaro della morte, ma bensì della vita che supera ogni morte: <Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno> (Gv 8, 52). I Giudei non capiscono ciò che il Signore vuole dire: non lo possono capire e non lo vogliono capire, perché la loro vita è paralizzata nel passato e misurano la speranza a partire dagli anni che uno ha vissuto e non a partire da quell’eternità che sta davanti a tutti come una promessa: <Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?> (8, 57). Certo si tratta di una parola di scherno, ma che rivela l’ottusità di quanto interloquiscono con il Signore Gesù senza mai aprirsi veramente ad un dialogo: <Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui: <ma Gesù si nascose e uscì dal tempio> (8, 59). Gregorio Magno si affretta a spiegare: <E’ sorprendente che il Signore sia sfuggito ai persecutori nascondendosi, mentre avrebbe potuto usare la sua potenza divina. Perché si è nascosto? Perché fattosi uomo fra gli uomini, il nostro Redentore ci dice alcune cose con la parola ed altre con l’esempio. E cosa ci vuol dire con questo esempio, se non di fuggire con l’umiltà l’odio degli orgogliosi, anche quando potremmo opporre resistenza? Nessuno dunque reagisca nel ricevere affronti, nessuno ricambi l’insulto con l’insulto. Poiché è più glorioso, secondo l’esempio di Dio, evitare un’ingiuria tacendo che voler avere il sopravvento contrattaccando>1.

Il Signore non ha nessuna paura di affrontare né i Giudei né la morte, che ormai si avvicina a grandi passi, per sigillare con il fuoco della Passione la sua testimonianza al mistero del Padre. Se non ha paura, nondimeno vuole far maturare i tempi con calma perché ogni cosa non sia che il frutto maturo che porta ogni cosa verso la verità. L’evocazione della figura di Abramo nella prima lettura è un modo sottile della Liturgia di incastonare l’esperienza del mistero pasquale di Cristo Signore in questo lungo esodo dell’umanità che muove i primi passi con quelli di Abramo cui l’Altissimo fa una promessa: <Quanto a me, ecco la mia alleanza è con te: diventerai padre di una moltitudine di nazioni> (Gn 17, 4). Questa parola che il Signore Dio rivolge ad Abramo cade in un contesto preciso: <Abram si prostrò con il viso a terra e Dio parlò con lui> (Gn 17, 3).

Al contrario di questo sereno dialogo sempre possibile, il torrente di pietre che i farisei immaginano di riversare su Gesù quasi per seppellire il suo messaggio destabilizzante, non è che la manifestazione esteriore dell’abitudine a barricarsi per evitare ogni passo di conversione. Ciò che fa la vita o <la morte in eterno> non dipende da chi è <più grande>, ma da chi si fa più piccolo per aprirsi al dono di una relazione. Proprio come Abramo che fece del pellegrinaggio della sua vita una profezia. Come ricorda Ireneo soffermandosi sulla testimonianza del nostro padre nella fede: <lasciò la sua famiglia e si incamminò col Verbo>. 


1. GREGORIO MAGNO, Omelie sul Vangelo, 18.

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