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VII settimana T.O.

Il gesto tenerissimo con cui il Signore Gesù prende <fra le braccia> (Mc 10, 16) i bambini è ben più che un atto di tenerezza. Questo diventa un luogo teologico di rivelazione di quello che è il cuore del vangelo, tanto da diventare l’occasione di una tra le più solenni dichiarazioni che segnano il passo della discepolanza: <chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso> (10, 15). Dichiarazione altrettanto solenne di quella appena enunciata, in risposta ai farisei a riguardo del matrimonio. Quella sulla centralità dei più piccoli nella comunità è una dichiarazione forse ancora più solenne perché rivolta ai discepoli e intenzionata a correggere un loro modo di trattare i più piccoli e suscita in Gesù un sentimento forte: <s’indignò> (10, 14). Un testo risalente ai primi tempi della Chiesa può aiutarci ad assumere l’atteggiamento giusto – così come ci viene richiesto dal Vangelo – ed esige una profonda conversione del cuore, della mente e del gesto: <Voi tutti che perseverate in questa via e sarete “come dei bambini” senza malizia, sarete glorificati più degli altri, poiché tutti i bambini sono gloriosi davanti a Dio e sono i primi per lui. Quindi beati voi che respingete la malizia per rivestirvi dell’innocenza; per primi, vivrete per Dio>1

L’innocenza che, in modo del tutto naturale, si applica al bambino non è l’indefettibilità – anche i bambini hanno i loro difetti e persino alcuni vizi o radici di essi – ma è l’immediatezza di cui ci parla, in modo emblematico, la nota fiaba del “re nudo”. Un bambino si esprime senza reticenze e senza ipocrisia e, laddove gli adulti, anche se giustamente, dissimulano, i bambini, al contrario, verbalizzano, fino ad essere in grado di mettere in imbarazzo gli adulti. In questo senso agire come dei bambini secondo la logica del vangelo, significa agire gli uni verso gli altri come fanno i bambini nei loro giochi: <se uno di voi si allontana dalla verità e un altro ve lo riconduce costui sappia che chi riconduce un peccatore dalla sua via di errore salverà la sua anima dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati> (Gc 5, 19).

Così siamo chiamati ad essere, gli uni per gli altri, una continua e rinnovata occasione di ritorno ad una semplicità radicale che non ha nulla a che vedere con l’innocenza beota, ma che si identifica con quella parresia evangelica capace di andare oltre ogni tentazione di ipocrisia. I bambini, a ben guardare, sono scomodi. Lo sono per le loro necessità e i bisogni da intuire e colmare continuamente, e lo sono – forse ancora di più – per quell’immediatezza che li rende capaci di quella verità di cui, noi adulti, siamo spesso timorosi. In questo contesto di semplicità ritrovata, l’esortazione dell’apostolo assume tutto il suo peso di bellezza e di esigenza: <Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri per essere guariti> (5, 16). Il primo peccato di cui dobbiamo prendere coscienza fino a saperlo manifestare è quello della fatica ad essere semplicemente noi stessi… fino in fondo.


1. ERMA, Il Pastore, parabola 9, 29.

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