Convertire… in mansueto

IV settimana T.Q.  –

Le parole del profeta Geremia sembrano dare il tempo della marcia in quest’ultimo scorcio di Quaresima. Prima di tutto il profeta ci rammenta la necessità di aprire gli occhi e il cuore davanti alla realtà del mistero pasquale senza cedere in alcun modo alla paura né cercare scappatoie: <Il Signore me lo ha manifestato e io l’ho saputo; mi ha fatto vedere i loro intrighi> (Gr 11, 18). La lucidità su quello che sta accadendo e prepara ciò che dovrà accadere, non crea nessuna fuga, ma una disponibilità chiara a portare a compimento il proprio cammino e dare così, fino in fondo, la propria testimonianza: <E io, come un agnello mansueto che viene portato al macello, non sapevo che tramavano contro di me> (11, 19). Mentre la Pasqua è ogni giorno più vicina, si fa più forte il <dissenso> (Gv 7, 43). Questo dissenso che, a prima vista, sembra quasi una questione accademica, in realtà pesca nel profondo delle nostre illusioni su Dio: <Non dice la Scrittura: “Dalla stirpe di Davide, verrà il Cristo”?> (7, 42). In tal modo vengono dichiarate tutte quelle speranze messianiche legittime, ma che pure sono inquinate dall’incapacità di aprirsi alla sorpresa di una salvezza che privilegia i modi semplici e non si invera nella straordinarietà eroica che ci fa sentire più al sicuro, ma rischia di ridurci in schiavitù.

Le guardie riportano una sensazione che coglie nel segno il mistero di Cristo: <Mai un uomo ha parlato così> (7, 46). Sembra che l’evangelista Giovanni anticipi qui la sensazione che, secondo Marco, un altro soldato – il centurione – avrà nel momento della morte del Signore fino ad esclamare <Veramente quest’uomo era figlio di Dio> (Mc 15, 39). Il figlio di Dio e il compimento delle promesse messianiche si compiono non secondo le logiche messianiste, ma nella logica primordiale di <Betlemme> (7, 42), una logica ritrovata nella sua realtà di piccolezza. Siamo rimandati al segno della scelta di Davide come re per Israele proprio perché era così piccolo da essere stato dimenticato da Iesse tra i candidati da presentare a Samuele. L’accusa dei farisei è tagliente: <Vi siete lasciare ingannare anche voi?> (7, 47). La difesa di Nicodemo è coraggiosa: <La nostra Legge giudica forse un uomo pria di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?> (7, 51). La reazione è rivelativa: <Studia…>!

Ma la realtà di una persona non la si può studiare, la si può amare e solo così la si può incontrare! La divisione che si crea attorno a Gesù rimanda alla divisione interiore che viviamo nel nostro cuore. Si tratta della divisione più difficile da gestire, quella tra la fede e il dubbio, l’adesione a Dio e l’idolatria, l’amore disinteressato e l’egoismo. Come le guardie, siamo chiamati a lasciarci veramente incontrare da Cristo per poterlo realmente incontrare in un modo personale. Il primo passo per rendere possibile questo incontro è quello di superare le nostre stereotipe precomprensioni poiché tutti i tentativi di definire Gesù, partendo dai dati teorici, rischiano di non portare da nessuna parte. Il Messia atteso non è un punto di arrivo, bensì sempre si offre come un punto di partenza per rinascere alla vita nuova attraverso una vera conversione che, invece di catalogare, accetta realmente di incontrare e farsi incontrare. Il profeta Geremia ci rimanda alla stessa lucidità con cui il Signore si avvicina alla Pasqua, mettendo a nudo ciò che i giudei <tramavano> e affidando a Dio – solo a Dio – la sua <causa>.

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