Fortunato?

VII settimana T.O.

Il salmo che accompagna le due letture di questa giornata non è tra quelli che si usano spesso nella preghiera liturgica, eppure è un testo che può aiutare molto nella vita per non cadere nella trappola di una presunzione che snatura le relazioni. Prima di tutto il salmo ci offre un criterio affinché non ci inganniamo nel giusto apprezzamento di quelli che sono i beni della terra: <Se vedi un uomo arricchirsi non temere, se aumenta la gloria della sua casa. Quando muore con sé non porta nulla, né scende con lui la sua gloria> (Sal 48, 17-18). Un testo cui fa eco la sapienza popolare che, davanti alla ricchezza talora sfacciata, reagisce dicendo: <non se la porterà mica nella tomba>. Inoltre, il salmo aiuta a rivedere il criterio di felicità e a rettificarlo: <Nella sua vita si diceva fortunato… andrà con la generazione dei suoi padri che non vedranno mai più la luce> (48, 19-20). Mentre il salmo cerca di comunicarci una certa sapienza, illuminando e raddrizzando i nostri criteri di discernimento, ripetiamo un testo fondamentale del vangelo: <Beati i poveri in spirito, perché di esse è il regno dei cieli>.

Del numero di questi <poveri> fanno parte i discepoli del Signore del cui numero vorremmo far parte. Ed è a noi che il Signore Gesù si rivolge dicendo: <Chiunque vi darà da bere un bicchiere di acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa> (Mc 9, 41). Essere fortunati, nella logica del vangelo, non significa non avere bisogno di niente e di nessuno, bensì di poter vivere il proprio bisogno come luogo di crescita nella relazione. In questo senso la parola tagliente e infuocata dell’apostolo Giacomo ci tocca direttamente e non ci permette scappatoie: <Eccomi ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano!> (Gc 5, 1). C’è infatti una sciagura più grande di quella di illudersi di non avere bisogno di <un bicchiere di acqua?> (Mc 9, 41). Cosa c’è di più terribile che cedere alla tentazione di un dorato isolamento che, in realtà, significa morire?

In questo senso le parole così forti del Signore Gesù, che chiede al discepolo persino di diventare <monco> (9, 44) e addirittura <zoppo> (9, 45) o <cieco> (9, 46) pur di non estraniarsi da <questi piccoli che credono> (9, 42) credendosi a loro superiore, non è un estremo rimedio per mali estremi, ma la guida sapiente per le scelte di ogni giorno in cui siamo chiamati a condire la nostra vita con il <sale> (9, 50) della sapienza. Il Signore Gesù ci dà un criterio per discernere il livello di gusto raggiunto dalla nostra esistenza di persone e di credenti, un criterio che è il dono raffinato nel suo stesso mistero pasquale: <siate in pace gli uni con gli altri>. Solo così di ciascuno di noi si potrà dire in verità: <ma che fortunato!>.

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