Il tuo nome è Prova, alleluia!

VI settimana di Pasqua

L’apostolo Paolo cerca di stare <in piedi in mezzo all’Aeropago> (At 17, 22) quasi per cercare di diventare, agli occhi dei dotti Ateniesi, una prova vivente di cosa significhi entrare nel mistero della risurrezione di Cristo Signore. Ma la conclusione del testo è alquanto amara: <Quando sentirono parlare di risurrezione dei morti, alcuni lo deridevano, altri dicevano: “Su questo punto ti sentiremo un’altra volta”> (17, 32). Eppure, bisogna riconoscere che la reazione dei filosofi della dotta Atene riesce a centrare il problema che la fede cristiana pone ad ogni intelligenza che sia onesta. Paolo, infatti, non fa che confermare, per così dire, lo scetticismo degli ateniesi ai quali non presenta la fede come una semplice proposta etica, ma come l’adesione al mistero di una persona, fino a dire che Dio <ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare il mondo con giustizia, per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti> (17, 31). Fin qui i presenti erano stati disposti a prestare ascolto al “predicatore” di turno, ma questo slittamento dalla filosofia alla persona concreta di Gesù, costituito da Dio, quale Cristo e Salvatore, non può che imbarazzare i presenti, fino a far disertare la piazza più dotta e più intellettualmente pruriginosa del mondo dell’epoca.

L’evangelista Luca con la sua consueta capacità di trasmettere la forza del messaggio attraverso i particolari del racconto, se da una parte narra che la maggioranza si chiude al mistero della risurrezione, dall’altra sottolinea ancora più fortemente il fatto che <alcuni si unirono a lui e divennero credenti> (17, 34). La fede in Cristo non può essere un fenomeno né “di piazza” né, tantomeno, portare ad un’adesione “di massa”. Il fatto che il mistero di Cristo sia il farsi presente di Dio all’uomo in modo assolutamente personale, esige, altresì, un’adesione che non può che essere assolutamente radicata nella coscienza personale. Il Signore Gesù, congedandosi dai suoi discepoli nella tenue luce del Cenacolo, insiste in modo fortissimo su questo aspetto così personale da essere, in realtà, assolutamente intimo: <Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà> (Gv 16, 15).

A pensarci bene, anche nel nostro cuore forse possiamo trovare un altare con la scritta <A un Dio ignoto> (At 16, 23). Conoscerlo ed entrare in reale comunione con questa presenza divina esige la fatica di un lungo cammino di amore che non passa solo attraverso l’intelletto, ma ben più concretamente attraverso la costruzione di una relazione fatta di amore. Per questo il Signore ci ricorda che: <lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità> (Gv 16, 13). Non si tratta di imparare una lezione, ma di abituarsi ad una presenza interiore con cui siamo chiamati ad entrare gradualmente in comunione. 

1 commento
  1. Marielle
    Marielle dice:

    Tanti progressi, tante scoperte e pero l’umanità sembra avere dimenticato ” la Presenza interiore” che abita in noi e che ci unisce tutti…com’è possibile ? E se, al di là le culture, le legge, le tradizione, la priorità fosse l’ insegnamento di quel segreto di Vita … ! Quanto il mondo sarebbe bello…crescendo nell’armonia spirituale…

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